07 agosto 2006

AUTOVELOX. ANCORA UN GIUDICE DI PACE DALLA PARTE DEGLI AUTOMOBILISTI...


Il Giudice di Pace di Recco è un'altro di quei Giudicanti che si è accostato empaticamente a quei migliaia di cittadini che ogni giorno cadono nei controlli degli autovelox. Esso ritiene nella recente sentenza del 07.06.2006 che “...non vi è certezza, in mancanza della taratura dell’apparecchio che ha rilevato la velocità, che la velocità impiegata dal veicolo del ricorrente potesse corrispondere a quella indicata nel verbale. Infatti è da ritenersi che la taratura è l’unico modo per correggere eventuali errori e per verificare che l’incertezza della misurazione della velocità sia contenuta entro i limiti previsti”. Con tale enunciazione di principio si è uniformato a quello che sembra, ad oggi, il prevalente indirizzo delle corti di merito, in tema di contravvenzioni elevate per eccesso dei limiti di velocità misurate con le apparecchiature elettroniche comunemente denominate “autovelox” (si vedano nello stesso senso, solo per fare alcuni esempi, Tribunale di Lodi, sentenza del 22 maggio 2000 n. 363; Giudice di Pace di Gonzaga, sentenza n. 222 del 10 dicembre 2003; Giudice di Pace di Porretta Terme, sentenza n. 108 del 06 dicembre 2004; Giudice di Pace di Taranto, sentenza del 27 ottobre 2004 relativa a causa r.g. n° 4165/04; Giudice di Pace di Rovigo, sentenza n. 642 del 23 settembre 2004, ecc.; in senso contrario, anche qui ex plurimis, Giudice di Pace di Taranto, 24 maggio 2006, secondo cui, nonostante la non completa attendibilità della misurazione effettuata, si può escludere che un’effettiva taratura dello strumento avrebbe potuto escludere la sussistenza della violazione, visto che la velocità rilevata era del 50% superiore a quella consentita). Nella sostanza, il principio qui ribadito è che una rilevazione che sia stata eseguita con apparecchio non debitamente tarato, non può essere considerata attendibile con riguardo alla effettiva velocità misurata e, pertanto, non può offrire certezza né della avvenuta violazione del limite imposto, né, tantomeno, della gravità della eventuale violazione – in base alla quale, come è noto, si determinerà l’entità della sanzione. Tale orientamento, a ben vedere, prende le mosse dalla sentenza del Tribunale di Lodi, 22.05.2000 – non a caso richiamata anche nella pronuncia in commento – cui merita accennare brevemente. In quella occasione, in seguito all’elevazione di una contravvenzione per eccesso di velocità, rilevata a mezzo autovelox mod. 104/C-2, il sig. C. P. decise di rivolgersi alla Magistratura all’epoca competente, contestando la mancanza di adeguata taratura dell’apparecchio utilizzato per i rilievi. In detta sede, venne disposta perizia tecnica d’Ufficio sull’autovelox – cui anche la sentenza in commento ammette di attenersi – le cui conclusioni portarono il Tribunale ad affermare che: 1. uno strumento di misura, per essere attendibile, deve essere tarato con riferimento a campioni nazionali, inizialmente e periodicamente; 2. nessuna tolleranza forfetaria (cioè il 5% stabilito dalla legge) può sostituire la taratura, unica operazione in grado di rivelare e correggere eventuali errori sistematici e di confermare la conformità dello strumento alle caratteristiche metrologiche richieste; 3. non può esistere alcun sistema di autocontrollo in grado di sostituire la taratura rispetto a campioni nazionali; 4. in tema di determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità, non possono essere considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature solamente "omologate", ma è necessario che tali risultanze siano riferibili a strumenti la cui funzionalità ed affidabilità siano previamente e periodicamente certificate e documentate dagli enti preposti a tali controlli al fine di eliminare qualsiasi dubbio sulla certezza ed attendibilità della misurazione; 5. tale preventivo controllo risulta ancor più indispensabile se si considera che la misurazione della velocità costituisce accertamento irripetibile: in assenza di idonea procedura di taratura, la misurazione della velocità risulta assolutamente inattendibile e non idonea a provare la fondatezza dell’accertamento amministrativo.
Il consiglio rimane quello di moderare la velocità in ogni situazione, ma non per evitare di pagare la multa ma per non mettere a rischio la propria vita e la vita degli altri... a buon intenditor...

05 giugno 2006

PATENTE A PUNTI. TABELLA PER NON DIMENTICARE.

Da quando è stata istituita la patente a punti questo spauracchio ha tolto il sonno a molti automobilisti poco disciplinati. Tanta tensione ma ancora pochi hanno idea dei rischi che corrono con le infrazioni a cui vanno incontro. Ecco allora. per non dimenticare, la tabella prevista dall'art. 126-bis Codice della Strada pubblicato sul sito giuridico WWW.ALTALEX.IT:
Ora non avete più scusa per non sapere.
Prevenire è sicuramente meglio che curare.

16 maggio 2006

ASSEGNO DIVORZILE. L'EX CONIUGE CONVIVE. DEVO PAGARGLIELO? NO SE HA TROVATO UN MILIONARIO !. MA SE E' POVERO...TI TOCCA

Una delle più grosse diatribe tra i coniugi che, dopo una faticoso cammino, sono giunti al "sospirato" divorzio è l'assegno divorzile. Spesso il coniuge condannato al versamento di tale somma vive la stessa come un "balzello" mal digerito e ritenuto ingiusto dal momento che il rapporto di coniugio è cessato.
In effetti anche nel caso in cui l'ex coniuge dovesse iniziare una nuova convivenza non esiste un automatismo secondo il quale cessa l'obbligo di corrispondere tale somma; infatti anche in assenza di un nuovo matrimonio il diritto all'assegno di divorzio, in linea di principio, di per sé permane anche se il richiedente abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona, salvo che sia data la prova, da parte dell'ex coniuge, che tale convivenza ha determinato un mutamento in melius - pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidatosi e protraentesi nel tempo - delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento ad opera del convivente o, quanto meno, di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1179 del 20 gennaio 2006, sottolineando che la relativa prova non può essere limitata a quella della mera instaurazione e della permanenza di una convivenza siffatta, risultando detta convivenza di per sé neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche dell'istante e dovendo l'incidenza economica della medesima essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano.
La Suprema Corte ha precisato inoltre che dimostrazione del mutamento in melius delle condizioni economiche dell’avente diritto può essere data con ogni mezzo di prova, anche presuntiva, soprattutto attraverso il riferimento ai redditi ed al tenore di vita della persona con la quale il richiedente l'assegno convive, i quali possono far presumere, secondo il prudente apprezzamento del giudice, che dalla convivenza more uxorio il richiedente stesso tragga benefici economici idonei a giustificare il diniego o la minor quantificazione dell'assegno, senza che, tuttavia, ai fini indicati, possa soccorrere l'esperimento di indagini a cura della polizia tributaria.
Per concludere sperate che la vostra ex moglie o ex marito sposi un milionario augurando loro auguri e figli maschi...

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILESENTENZA 20-01-2006, n. 1179
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 23/05/1998, B.P. chiedeva al Tribunale di Firenze di pronunciare lo scioglimento del matrimonio contratto il (.........) con M.S..
Quest'ultima, costituendosi in giudizio, domandava l'attribuzione dell'assegno di divorzio, ex adverso contestata.
Il Giudice adito, con sentenza del 15/02 - 26/05/2001, dato atto che l'indicato scioglimento era stato pronunciato mediante precedente decisione non definitiva del (.........), dichiarava il diritto della M. a percepire l'emolumento di cui sopra, condannando l'obbligato alla corresponsione, in favore dell'ex coniuge, della somma di L. 600.000 mensili, annualmente adeguabile.
Avverso tale sentenza, proponeva appello il B., deducendo che non era mai stata fornita la dimostrazione dell'effettivo tenore di vita goduto dall'appellata in costanza di matrimonio e che doveva essere ritenuta pacifica, siccome non contestata dall'avente diritto, la circostanza relativa al contributo economico fornito all'attuale tenore di vita della medesima appellata dal convivente di questa, atteso che una simile convivenza durava da nove anni durante i quali la M. non aveva, prima della domanda di scioglimento del matrimonio, mai chiesto alcunchè.
Resisteva nel grado la suddetta appellata, assumendo che il suo reddito presente si era ridotto, rispetto a quello goduto nel (.........), per effetto della cessazione della ditta ove ella lavorava, nonchè deducendo, in via incidentale, che la somma stabilita dal Tribunale doveva essere ritenuta inadeguata, anche in riferimento all'apporto fornito all'ex coniuge, in costanza di matrimonio, riguardo ai figli nati dal vincolo ed indicando come adeguata la somma di L. 2.000.000 mensili, laddove la circostanza attinente alla sua convivenza non era da considerare rilevante, in ragione della mancanza di prova circa le prestazioni economiche effettivamente fornite da parte del suo attuale compagno.
La Corte Territoriale di Firenze, con sentenza dell'11/10 - 16/11/2002, rigettava l'appello proposto dal B. ed, in accoglimento di quello incidentale spiegato dalla M., così parzialmente riformando la decisione impugnata, determinava in Euro 500,00 mensili l'assegno posto a carico del primo in favore della seconda.
Assumeva detto Giudice:
a) che, al di là dei rispettivi patrimoni, di una certa consistenza per entrambi i coniugi ma che non risultavano produttivi di redditi, delle autovetture rispettivamente possedute (una per ciascuno) e dei risparmi della M., nell'ordine di circa L. 160.000.000, la sperequazione tra le rispettive condizioni economiche delle parti fosse del tutto evidente;
b) che il tenore di vita precedente apparisse consequenziale ai redditi derivanti dall'attività svolta dal marito;
c) che la situazione economica della M. fosse peggiorata a seguito della cessazione della ditta sua datrice di lavoro;
d) che l'appellante non avesse nè fornito nè offerto prova alcuna in ordine a prestazioni economiche continuative effettuate da parte del convivente della M. stessa in favore di quest'ultima, non potendo del resto essere ammessa, siccome tardiva, la relativa prova testimoniale richiesta dal medesimo appellante, sul punto, soltanto nel giudizio di secondo grado;
e) che la somma disposta dal primo Giudice fosse inadeguata al fine di consentire alla M. di godere di un tenore di vita analogo a quello, goduto in costanza di matrimonio, laddove, del resto, la somma di L. 2.000.000 richiesta da quest'ultima appariva eccessiva, in considerazione dei redditi comparativamente considerati.
Avverso tale sentenza, ricorre per Cassazione il B., deducendo cinque motivi di gravame, ai quali resiste con controricorso la M. che, a propria volta, spiega ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
Motivi della decisione
Deve, innanzi tutto, essere ordinata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 333 e 335 c.p.c., la riunione di entrambi i ricorsi, relativi ad altrettante impugnazioni separatamente proposte contro la medesima sentenza.
Con il quarto motivo di gravame, del cui antecedente esame rispetto agli altri si palesa la necessità involgendo detto motivo la trattazione di una questione logicamente e giuridicamente preliminare, lamenta il B. violazione e falsa applicazione dell'art. 343 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, assumendo:
a) che il ricorrente ha eccepito nel giudizio di secondo grado l'inammissibilità dell'appello incidentale a norma dell'art. 343 c.p.c., in forza del quale tale mezzo di impugnazione si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, all'atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell'art. 1166 c.p.c., ovvero con il rispetto del termine fissato da quest'ultima disposizione per la costituzione medesima, onde esso risulta inammissibile se il convenuto deposita detta comparsa meno di venti giorni prima dell'udienza di comparizione;
b) che, di conseguenza, risulta inammissibile la richiesta di controparte di integrare la decisione del Giudice di prime cure disponendo che, in accoglimento della domanda proposta dalla M., l'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile, quantificato nella misura di L. 2.000.000 mensili annualmente rivalutabili, decorra dalla data della domanda o a far data dal passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio;
c) che parte avversa, per non incorrere nella sopramenzionata decadenza, neppure potrebbe invocare la riproposizione ammessa dall'art. 346 c.p.c. per le domande non accolte in primo grado, dal momento che l'espressione "domande non accolte" non può essere riferita alle domande autonome che, come nella specie, siano state prese in esame dal Giudice di primo grado e siano state respinte o che non siano state esaminate, tenuto conto del fatto che, in tale ipotesi, sia la pronuncia di rigetto sia il vizio di omessa pronuncia debbono essere espressamente denunciati nel giudizio di gravame con l'appello principale o con quello incidentale.
Il motivo non è fondato.
Il rito camerale, infatti, previsto per l'appello avverso le sentenze di divorzio e di separazione personale (che, ai sensi del combinato disposto della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 12, - quale sostituito della L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 8 - e dell'art. 23, comma 1, ultima legge, deve considerarsi esteso all'intero procedimento e non limitato alla sola fase decisoria: Cass. 21 agosto 1998, n. 8287; Cass. 15 gennaio 2003, n. 507; Cass. 22 luglio 2004, n. 13660), come, da un lato, non preclude la proponibilità dell'appello incidentale, anche indipendentemente dalla scadenza del termine per l'esperimento del gravame in via principale (Cass. 6 luglio 2004, n. 12309), così, dall'altro lato, risultando caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, esclude tuttavia la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario (Cass. 19 febbraio 2000, n. 1916) ed, in particolare, del termine perentorio fissato, per la relativa proposizione, dall'art. 343 c.p.c., comma 1. ("L'appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, all'atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell'art. 166 c.p.c."), dal momento che il principio del contraddittorio viene rispettato, in appello, per il solo fatto che il gravame incidentale sia portato a conoscenza della parte avversa entro limiti di tempo tali da assicurare a quest'ultima la possibilità di far valere le proprie ragioni mediante organizzazione di una tempestiva difesa tecnica, da svolgere sia in sede di udienza camerale sia al termine dell'inchiesta (Cass. n. 1916/2000, cit.; Cass. 8 ottobre 2004, n. 20087), laddove il ricorrente principale non ha, nella specie, minimamente prospettato il difetto altresì delle condizioni indicate da ultimo, essendosi limitato, come si è visto, a denunziare il mancato rispetto, da parte dell'odierna controricorrente, del termine fissato dall'art. 166 c.p.c. per la costituzione nel giudizio di secondo grado, ovvero il deposito della relativa comparsa di risposta in appello meno di venti giorni prima dell'udienza di comparizione.
Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente principale violazione ed omessa o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e successive modifiche, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, deducendo:
a) che l'esame testuale della decisione impugnata dimostra che l'indagine sul tenore di vita tenuto dai coniugi in costanza di matrimonio è stata certamente omessa, nel senso che, se fosse avvenuta, il tenore di vita sarebbe risultato certamente assai più basso e modesto dell'attuale, posto che i figli nati dal primo matrimonio ( F. e B.N. che oggi hanno (.........) e (.........) anni), all'epoca dell'abbandono del marito da parte della M., erano conviventi con il padre e totalmente a carico di lui, in quanto studenti;
b) che l'onere della prova sull'effettivo tenore di vita spettava alla stessa M., la quale ha offerto alla Corte una lista di gioielli, peraltro di scarso valore, regalati dal marito nei dodici anni di matrimonio, ovvero ha prospettato un fatto del tutto normale in qualsiasi tipo di coppia che non viva ai livelli di povertà, laddove, per l'importanza che riveste tale valutazione nel giudizio di divorzio, la prova doveva essere rigorosa e la relativa indagine doveva essere svolta accuratamente e sorretta da idonea motivazione;
e) che la Corte Territoriale ha, quindi, deciso sull'an debeatur avuto riguardo solo al presupposto del reddito attuale dei coniugi e non al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;
d) che detto Giudice, non solo ai fini sopraindicati si è limitato a prendere in esame i redditi delle parti senza alcun riferimento al tenore di vita ed alla fascia socio-economica di appartenenza della coppia, ma non ha poi utilizzato, nella determinazione del quantum debeatur, neppure uno dei criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, ovvero nè la durata del matrimonio, nè l'addebitabilità della separazione, nè l'apporto alla conduzione familiare e patrimoniale, nè la convivenza more uxorio della M. con l'attuale compagno, la quale, per la sua lunghissima durata, pari ormai a quella stessa del matrimonio, è da considerare di forte rilievo ai fini della limitazione dell'assegno di divorzio, non solo per l'obiettivo impedimento che ne deriva al ripristino del consorzio familiare, ma anche perchè non può non avere riflessi sull'effettiva condizione economica della richiedente.
Con il secondo motivo di impugnazione, del cui esame congiunto con il precedente si palesa l'opportunità; involgendo ambedue la trattazione di questioni strettamente connesse, lamenta il ricorrente principale violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, dell'art. 185 c.p., degli artt. 112, 132, 191 e 194 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, deducendo:
a) che la Corte Territoriale è incorsa in gravi vizi di motivazione sui punti fondamentali della controversia, oltrechè in macroscopici errori di lettura delle risultanze delle indagini della Guardia di Finanza, eseguite nei confronti del medesimo ricorrente e della M., ma non nei riguardi del convivente di questa, Avv. Stefano Rosati;
b) che la Polizia Tributaria ha provveduto nel luglio 2002 a depositare i prospetti dei redditi, relativi alle locazioni turistiche, percepiti dalla M., attraverso la nota agenzia internazionale Cuendet, sugli immobili di sua proprietà nel Comune di (.........), i quali documentano un altro reddito mensile, prodotto nel (.........), pari mediamente a 700/800 Euro mensili, da aggiungere ai redditi dichiarati dall'interessata nel medesimo anno per l'attività di promotrice nel settore della moda;
c) che di tale reddito, così come della situazione del convivente della M., non è traccia nella sentenza della Corte Territoriale, là dove si afferma che la predetta avrebbe attualmente un reddito pari a L. quattordici milioni all'anno, onde dal contenuto testuale della decisione appare evidente l'omessa considerazione del reddito delle affittanze, pari ad oltre diecimila Euro annui;
d) che il B., quale medico ospedaliere impegnato altresì presso l'Istituto (.........), non ha una frequenza di "sette visiteal giorno", atteso che le pagine dell'agenda acquisite dalla Polizia Tributaria sono relative alla stessa attività svolta dall'attuale coniuge, anch'essa ginecologa presso l'Istituto anzidetto;
e) che dall'esame testuale della decisione emerge come, sulla base dell'erronea ed omessa lettura delle risultanze della Polizia Tributaria, le quali indicavano risparmi personali della M. per circa duecento milioni (e non centosessanta, secondo quanto affermato dalla Corte Territoriale), detto Giudice ha utilizzato "al rovescio" il concetto della sperequazione dei redditi dei coniugi, dato altresì che la M., svolgendo ancora la precedente attività di coordinamento delle indossatrici per sfilate ed intrattenendo attualmente un rapporto di lavoro con la ditta "Redditi Carnasci s.n.c.", percepisce redditi (pari a trentacinque milioni annui di vecchie lire) più che raddoppiati grazie all'attività di affittanze turistiche, mentre il B. ha tre figli, di cui l'ultima ( B.M.) di tre anni, non ha risparmi personali e non ha beni immobili produttivi di reddito.
Con il terzo motivo di impugnazione, del cui esame congiunto con i due precedenti si palesa l'opportunità in forza delle medesime ragioni già indicate riguardo al secondo, lamenta il ricorrente principale violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, dell'art. 185 c.p., degli artt. 112, 132, 191 e 194 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, deducendo:
a) che i vizi denunciati si riscontrano nella totale assenza di motivazione, da parte della Corte Territoriale, sulla validità dell'accordo, raggiunto nella fase della separazione, con cui la M. rinunciava espressamente ad ogni e qualsiasi contributo per il proprio mantenimento sia nella stessa sede di separazione sia nella sede di divorzio, sul presupposto che, nel corso del giudizio, si era provveduto alla divisione dei beni in comunione e sul presupposto che il ricorrente aveva richiesto l'addebito della separazione a seguito dell'allontanamento della M. per andare a vivere con l'attuale convivente;
b) che il Tribunale aveva attribuito alla M. la somma di L. 600.000 sul rilievo che, all'epoca della decisione, la M. avesse un reddito pari a circa L. dodici milioni annue, ritenendo nulle le precedenti pattuizioni le quali includevano anche la rinuncia all'assegno di divorzio;
c) che la Corte Territoriale ha omesso ogni motivazione su tale aspetto della ritenuta (dal ricorrente) validità dei patti di separazione, quanto meno relativamente agli effetti che un simile accordo ha prodotto sulla situazione patrimoniale e sul reddito dei coniugi;
d) che, tuttavia, l'assetto economico relativo alla separazione costituisce un indice di riferimento nella regolazione del regime patrimoniale del divorzio, nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi utili per la valutazione delle condizioni dei coniugi e dell'entità dei loro redditi, dovendo, nella specie, valutarsi che, in base all'accordo del (.........), la M. aveva suoi risparmi personali pari a circa L. cento milioni ed aveva ricevuto altrettanto per la divisione della casa coniugale, là dove il ricorrente si è accollato il mutuo, ancor gravante sulla casa stessa, pari a L. ottanta milioni;
e) che, in caso di convivenza more uxorio, l'obbligo dell'ex marito viene meno quando, in concreto e secondo le specifiche circostanze fra le quali assumono rilievo la durata della convivenza, la procreazione di figli ed il tenore di vita goduto, il nuovo rapporto abbia caratteristiche tali da fare ragionevolmente ritenere che l'ex moglie non si trovi più in quella situazione di bisogno capace di giustificare un assegno da parte dell'ex coniuge, onde l'instaurazione di una simile convivenza incide necessariamente, a seconda dei casi, sia sul diritto all'assegno, quante volte si accerti che, in conseguenza di essa, venga meno la necessità dell'emolumento ai fini della conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio, sia sulla misura di detto assegno;
f) che, si ripete, la Corte Territoriale non ha neppure considerato, quale elemento rilevante ai fini della decisione, la nascita della figlia M., limitandosi a comparare i redditi dei coniugi quando, invece, è principio consolidato quello secondo cui l'assegno di divorzio deve tenere conto degli oneri economici derivanti dal dovere inderogabile di mantenimento dei figli naturali nati dalla nuova relazione;
g) che, del pari, la medesima Corte, errando nella disamina dei documenti versati in atti, si è limitata ad osservare che il tenore di vita andrebbe dedotto dai gioielli regalati dal marito all'ex coniuge (peraltro di modesta e non comprovata entità) e dall'attività di medico ospedaliere del ricorrente, omettendo ogni e qualsiasi vantazione sugli oneri di mantenimento dei figli, sul debito di L. ottanta milioni accollatosi con la separazione e sull'esborso di cento milioni nel 1992, laddove detto Giudice non poteva esimersi dal considerare vuoi che il ricorrente doveva e deve necessariamente mantenere non soltanto i figli, ancora parzialmente a suo carico, nati dal primo matrimonio, ma anche, e soprattutto, la figlia M. nata dal nuovo matrimonio, vuoi che i redditi della M., consistenti nell'attività di affittanza stagionale da aggiungere a quelli percepiti per le attività di promozione della moda, sono addirittura aumentati, sia rispetto alla data della separazione ((.........)) sia rispetto alla data del divorzio ((.........)), ciò di cui non si rinviene traccia nella sentenza impugnata.
I tre motivi non sono fondati.
La Corte Territoriale ha basato la decisione di rigettare l'appello (principale) proposto dal B. (con cui questo aveva richiesto che venisse dichiarato "che nessun contributo di mantenimento è dovuto all'appellata") e di accogliere parzialmente quello (incidentale) spiegato dalla M. (con cui questa aveva richiesto l'aumento a L. 2.000.000 mensili, rispetto alla somma di L. 600.000 mensili fissata dal Tribunale, dell'assegno posto a carico della parte avversa) sopra i rilievi secondo i quali:
a) "il B. ha un reddito imponibile di L. 129.664.000 (Unico 2001) e ... presta attività di medico ginecologo, oltre che presso la clinica dell'ospedale di (.........) di (.........), presso l'Istituto (.........) di (.........), nei pomeriggi del (.........) e del (.........), effettuando mediamente sette visite al giorno ...";
b) "la M. ha un reddito imponibile di L. 14.247.000 e ... presta attività di promotrice di vendita nel settore della moda";
c) "al di là dei rispettivi patrimoni, di una certa consistenza per entrambi i coniugi, ma che non risulta producano redditi, al di là delle autovetture possedute (una per ognuno) e dei risparmi della M., nell'ordine di circa 160.000.000, fra incasso della polizza vita scaduta (anche per il marito) e incasso del corrispettivo relativo alla divisione della casa coniugale, la sperequazione fra i redditi dei coniugi (è) del tutto evidente, così come appare evidente che la M. non è in grado di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio in virtù dei redditi indicati";
d) "quanto al contenuto del tenore di vita precedentemente goduto, ... lo stesso è provato dall'elenco dei gioielli donatile dal marito in costanza di matrimonio e del resto appare consequenziale ai redditi derivanti dall'attività svolta dal marito";
e) "la situazione economica della M. è peggiorata a seguito della cessazione della ditta (.........), sua datrice di lavoro";
f) "l'appellante non ha nè fornito nè offerto alcuna prova, in primo grado, in ordine a prestazioni economiche continuative effettuate da parte del convivente della M. in favore di quest'ultima".
Argomentando in tal modo, la Corte Territoriale ha, innanzi tutto, determinato il "contenuto del tenore di vita precedentemente goduto" dalla coppia, ricavandolo, per un verso, sulla base di una circostanza (rappresentata dall'"elenco dei gioielli donatile dal marito in costanza di matrimonio") la quale ha formato oggetto di censura, da parte del ricorrente principale, sotto l'inammissibile (siccome privo, in violazione del principio stesso di autosufficienza del ricorso, di alcuno specifico riferimento alle relative risultanze di causa di segno corrispondente, così da risolversi in una mera affermazione contraria all'assunto implicito del Giudice di merito,senza poterne desumere la sussistenza di un vizio della motivazione da omesso o erroneo apprezzamento di dette risultanze) profilo che tali gioielli risultassero "di scarso valore economico" ovvero "di modesta e non comprovata entità" e che il fatto apparisse, perciò, "del tutto normale in qualsiasi tipo di coppia che non viva ai livelli di povertà", nonchè, per altro verso, sulla base dei "redditi derivanti dall'attività svolta dal marito", addivenendo, quindi, alla conclusione "che la M. non è in grado di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio in virtù dei redditi indicati" per effetto dell'evidente "sperequazione fra i redditi dei coniugi", laddove è noto al riguardo:
1) che il Giudice di merito investito della domanda di attribuzione dell'assegno di divorzio del tutto correttamente procede a verificare, sulla base degli elementi acquisiti, la sussistenza nel richiedente del requisito della mancanza di mezzi adeguati alla conservazione del tenore di vita precedente, affermando siffatta inadeguatezza attraverso l'apprezzamento di un rilevante divario nelle rispettive potenzialità reddituali e patrimoniali dei coniugi (Cass. 28 gennaio 2000, n. 961), nel senso esattamente che, se per un verso il richiedente stesso ha l'onere di fornire la dimostrazione della fascia socio-economica di appartenenza della coppia all'epoca della convivenza e del relativo tenore di vita adottato in costanza di matrimonio, nonchè della situazione economica attuale, per altro verso il Giudice può tener conto della situazione reddituale e patrimoniale della famiglia al momento della cessazione della convivenza quale elemento induttivo da cui desumere, in via presuntiva, il tenore di vita anzidetto e può, in particolare, in mancanza di prova da parte del richiedente medesimo, fare riferimento, quale parametro di vantazione del pregresso stile di vita, alla documentazione attestante i redditi dell'onerato (Cass. 5 agosto 1997, n. 7199; Cass. 24 maggio 2001, n. 7068; Cass. 7 maggio 2002, n. 6541; Cass. 16 luglio 2004, n. 13169);
2) che, del resto, la valutazione delle precedenti condizioni economiche deve essere effettuata avendo riguardo altresì al tenore di vita che sarebbe stato presumibilmente mantenuto in caso di continuazione del rapporto e, quindi, tenendo conto anche degli incrementi reddituali dell'ex coniuge obbligato che costituiscono naturale, prevedibile sviluppo dell'attività lavorativa svolta durante il matrimonio, potendo legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative, già presenti durante la convivenza, non aventi carattere di eccezionalità in quanto non connesse a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed inimmaginabili (Cass. 29 aprile 1999, n. 4319; Cass. 8 febbraio 2000, n. 1379; Cass. 6541/2002, cit.; Cass. 13169/2004, cit.).
Circa, poi, la determinazione della rispettiva situazione patrimoniale e reddituale degli ex coniugi, si osserva: a) che il riferimento della Corte Territoriale al fatto, censurato dall'odierno ricorrente principale, che quest'ultimo effettui "mediamente sette visite al giorno" presso l'Istituto (.........) di Firenze, non appare di per sè decisivo (e così, quindi, neppure la relativa doglianza), tali risultando, invece, le (di per sè) incensurate circostanze secondo le quali il ricorrente stesso "ha un reddito imponibile di L. 129.664.000 ... e ... presta attività di medico ginecologo, oltre che presso la clinica dell'ospedale (.........) di (.........), presso l'Istituto" anzidetto; b) che non si palesa decisivo, in quanto privo (in violazione del già riferito principio di autosufficienza del ricorso) di qualsivoglia specifico richiamo alle relative risultanze di causa, così da poterne ricavare (di nuovo) la sussistenza di un vizio della motivazione da omesso o erroneo apprezzamento di tali risultanze, nè il riferimento del B. al fatto che entrambi i figli nati dal primo matrimonio ( F. e B.N.), all'epoca del suo abbandono da parte della M., erano conviventi con il ricorrente nonchè a totale carico di quest'ultimo essendo studenti, nè il riferimento del medesimo B. alla nascita nell'anno (.........), dal nuovo matrimonio, della figlia M., a tanto non potendo soccorrere il mero (generico) richiamo al fatto che "il Tribunale aveva perlomeno evidenziato (questa) circostanza assai rilevante nella decisione";
c) che non è decisivo il riferimento del ricorrente principale, desunto dalle indagini effettuate dalla Polizia Tributaria, ai risparmi personali della M. nella misura di L. duecento milioni (in luogo dei centosessanta milioni indicati dalla Corte Territoriale), dal momento che, secondo l'incensurato apprezzamento del Giudice di merito, detta somma, quale che ne sia dunque l'esatto ammontare, deriva dall'incasso della polizza vita scaduta anche per il marito e dall'incasso del corrispettivo relativo alla divisione della casa coniugale, ovvero da proventi "comuni" altresì al B. e, quindi, come tali, ininfluenti ai fini della determinazione comparativa dei rispettivi redditi;
d) che non è decisivo il riferimento del ricorrente principale, desunto di nuovo dalle sopra riferite indagini della Polizia Tributaria, al fatto che la M., dalla locazione turistica degli immobili di sua proprietà nel Comune di (.........), ricavi, per il tramite dell'Agenzia Internazionale (.........), un reddito "pari ad oltre 10.000 Euro", onde un simile reddito dovrebbe venire aggiunto a quello (pari ad un imponibile di L. 14.247.000) dichiarato dalla medesima M. relativamente all'attività di promotrice nel settore della moda (ed indipendentemente dalla "cessazione della ditta (.........), sua datrice di lavoro"), così da giungere ad un totale di (vecchie) L. 35.000.000 annue, atteso che un importo del genere, ove confrontato anche solamente con il reddito imponibile del B., pari (come si è visto) a circa (vecchie) L. 130.000.000 annue, si palesa, comunque, tale da non inficiare, in modo decisivo appunto, la "evidente ... sperequazione fra i redditi dei coniugi" apprezzata dalla Corte di merito, risultando il secondo di detti redditi pur sempre corrispondente a poco meno del "quadruplo" del primo.
Circa, poi, il riferimento del ricorrente principale alla convivenza more uxorio, di lunga durata, instaurata dalla M. con l'Avv. R.S. e la relativa doglianza del medesimo ricorrente in ordine alla mancata estensione delle già riportate indagini della Polizia Tributaria altresì nei confronti del nominato convivente, si osserva che la Corte Territoriale, mediante apprezzamento di per sè incensurato, ha dato conto della circostanza che "l'appellante non ha nè fornito nè offerto alcuna prova, m primo grado, in ordine a prestazioni economiche continuative effettuate da parte del convivente della M. in favore di quest'ultima, (senza che potesse) essere ammessa, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., in quanto tardiva, la prova testimoniale richiesta soltanto in grado di appello sul punto ...".
Così argomentando, detto Giudice ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all'assegno di divorzio, in linea di principio, di per sè permane anche se il richiedente abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona, salvo che sia data la prova, da parte dell'ex coniuge, che tale convivenza ha determinato un mutamento in melius - pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidatosi e protraentesi nel tempo - delle condizioni economiche dell'avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento ad opera del convivente o, quanto meno, di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza, onde la relativa prova non può essere limitata a quella della mera instaurazione e della permanenza di una convivenza siffatta, risultando detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche dell'istante e dovendo l'incidenza economica della medesima essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano, laddove una simile dimostrazione del mutamento in melius delle condizioni economiche dell'avente diritto può essere data con ogni mezzo di prova, anche presuntiva, soprattutto attraverso il riferimento ai redditi ed al tenore di vita della persona con la quale il richiedente l'assegno convive, i quali possono far presumere, secondo il prudente apprezzamento del Giudice, che dalla convivenza more uxorio il richiedente stesso tragga benefici economici idonei a giustificare il diniego o la minor quantificazione dell'assegno (Cass. 8 luglio 2004, n. 12557), senza che, tuttavia, ai fini indicati, possa soccorrere L'esperimento di indagini a cura della polizia tributaria, le quali sono previste dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, (come novellato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10), "in caso di contestazioni,...sui redditi e patrimoni dei coniugi (e non, quindi, dei terzi) e sul loro effettivo tenore di vita" e la cui mancata disposizione è censurabile esclusivamente nel senso che la domanda di corresponsione dell'assegno non può, in tal caso, essere respinta sotto il profilo che l'istante non abbia fornito la dimostrazione delle condizioni economiche dell'altro coniuge (Cass. 21 giugno 2000, n. 8417; Cass. 10 agosto 2001, n. 11059; Cass. 17 maggio 2005, n. 10344).
Per quanto concerne, ancora, la censura relativa alla mancata valutazione, da parte della Corte Territoriale, dell'accordo raggiunto dai coniugi nella fase della separazione mediante il quale, tra l'altro, la M. rinunciava espressamente ad ogni e qualsiasi contributo per il proprio mantenimento, sia nella sede anzidetta sia in sede di divorzio, mentre il B. si accollava il mutuo (pari ad L. ottanta milioni) ancora gravante sulla casa familiare, conviene notare:
a) che gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio sono nulli, per illiceità della causa, anche nella parte in cui riguardano l'assegno divorziale, che per la sua natura assistenziale è indisponibile, in quanto diretti, implicitamente od esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difesa nel giudizio di divorzio stesso, trovando un simile principio fondamento nell'esigenza di tutela del coniuge economicamente più debole, la cui domanda di assegnazione dell'emolumento in parola potrebbe da detti accordi venire paralizzata o ridimensionata (Cass. 18 febbraio 2000, n. 1810; Cass. 14 giugno 2000, n. 8109; Cass. 1 dicembre 2000, n. 15349; Cass. 9 ottobre 2003, n. 15064);
b) che, del resto, la determinazione dell'assegno di divorzio, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti o in virtù di decisione giudiziale, sotto il vigore della separazione dei coniugi, poichè, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situazioni, nonchè delle rispettive decisioni giudiziali, l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dal regime degli obblighi di mantenimento e di alimenti operanti nel regime di convivenza o di separazione, costituendo effetto diretto della pronuncia di divorzio, onde l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un mero indice di riferimento, nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione (Cass. 9 maggio 2000, n. 5866;
Cass. 11 settembre 2001, n. 11575), laddove, nella specie, appare palese come le pattuizioni separatizie invocate dal ricorrente principale, lungi dall'essere state indebitamente trascurate dalla Corte Territoriale (secondo quanto assume il medesimo ricorrente), abbiano formato oggetto di implicito apprezzamento da parte di detto Giudice, il quale, sulla base dei presupposti di fatto dianzi illustrati e dei criteri (autonomi rispetto a quelli rilevanti per il trattamento spettante al coniuge separato) che sono propri dell'assegno di divorzio, ha evidentemente ritenuto non più giustificata la conservazione delle pattuizioni sopra indicate, legate al differente regime della separazione personale.
Circa, infine, la doglianza relativa al fatto che la Corte Territoriale non ha utilizzato, nella determinazione del quantum dell'assegno in parola, neppure uno dei criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, si osserva, al riguardo, che deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del Giudice che ne dia adeguata giustificazione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dal legislatore, nel richiamato art. 5, comma 6, per la quantificazione dell'importo spettante all'avente diritto (rispettivamente costituiti dalle condizioni dei coniugi, dalle ragioni della decisione, dal contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, dal reddito di entrambi), anche in relazione alle deduzioni ed alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno stesso (Cass. 15 gennaio 1998, n. 317; Cass. 7 maggio 1998, n. 4617; Cass. 3 ottobre 2000, n. 13068; Cass. n. 13169/2004, cit.; Cass. 16 maggio 2005, n. 10210), essendo del resto palese come la Corte Territoriale, nella specie, abbia segnatamente apprezzato, tra gli elementi anzidetti, le condizioni economiche degli ex coniugi ed, in particolare, i "redditi (di questi ultimi) comparativamente considerati", così implicitamente valutandoli in termini di indubitabile "prevalenza" rispetto a tutti gli altri criteri.
Con il quinto motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente principale violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. sul principio della soccombenza nella liquidazione delle spese, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, deducendo che, anche sotto tale profilo, la Corte Territoriale non ha considerato il principio secondo cui soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre, qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all'apprezzamento del Giudice di merito decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione.
Il motivo in parte non è fondato ed in parte non è ammissibile.
Premesso come la Corte Territoriale abbia onerato l'appellante, in favore dell'appellata, dell'intero ammontare delle spese di secondo grado, espressamente argomentando nel senso che dette spese "seguono la soccombenza", si osserva:
a) per un verso, che l'odierno ricorrente principale non può certo reputarsi "totalmente vittorioso", avuto riguardo al fatto che la medesima Corte ha rigettato "l'appello proposto dal B.", laddove, come noto, in materia di spese processuali, la relativa statuizione adottata dal Giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, stabilito dall'art. 91 c.p.c., di porre dette spese a carico appunto della parte totalmente vittoriosa (Cass. 28 novembre 2003, n. 17692; Cass. 22 aprile 2005, n. 8540; Cass. 26 aprile 2005, n. 8623);
b) per altro verso, che la vantazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali tra le parti, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della ricorrenza di altri giusti motivi, rientra nei poteri discrezionali del Giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con un'espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, cosicchè la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza della stessa motivazione (Cass. sezioni unite 15 luglio 2005, n. 14989).
Il ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato.
Con l'unico motivo di impugnazione, lamenta la ricorrente incidentale violazione dell'arti 12 c.p.c., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, in relazione al disposto dell'art. 360 c.p.c., n. 4 e 5, deducendo:
a) che il Tribunale di Firenze, con sentenza non definitiva del 10/11 - 09/12/1999, ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio fra il B. e la M.;
b) che quest'ultima, sia in primo grado sia in appello (nella comparsa di costituzione e risposta del 26/10/2001), aveva chiesto che l'assegno, L. n. 898 del 1970, ex art. 4, comma 10, (e successive modifiche), fosse disposto "dal momento della domanda";
c) che nè il Tribunale nè la Corte Territoriale hanno, sul punto, deciso in alcun modo, omettendo, quindi, la doverosa pronuncia su una domanda ritualmente proposta dall'odierna ricorrente incidentale;
d) che, peraltro, essendo nel frattempo sorta controversia fra le parti in ordine alla decorrenza dell'assegno, la M. aveva richiesto alla Corte anzidetta (sempre nella comparsa di costituzione e risposta sopraindicata) di chiarire se l'assegno di divorzio dovesse decorrere dal dì della pronuncia di esso o da quello della pronuncia dello scioglimento del matrimonio;
e) che anche su tale punto la Corte di merito ha omesso ogni decisione, laddove è evidente che la decorrenza dell'assegno, una volta che questo sia stato determinato, debba farsi risalire alla data di pronuncia del divorzio, la quale rappresenta l'elemento costitutivo del diritto alla sua percezione, mentre la successiva sentenza provvede solo alla sua concreta quantificazione.
Il motivo è fondato.
Premesso, infatti, come dal tenore della comparsa di costituzione e risposta depositata dalla M. in secondo grado (peraltro riportato nella stessa esposizione del quarto motivo del ricorso principale ed il cui esame diretto rientra, comunque, nei poteri di questa Corte, venendo in considerazione il vizio di omessa pronuncia, il quale, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ex art. 112 c.p.c., integra un error in procedendo: Cass. 9 luglio 2004, n. 12721; Cass. 20 luglio 2004, n. 13426; Cass. 11 gennaio 2005, n. 375) sia dato di evincere che la predetta ha espressamente denunciato, mediante l'appello incidentale, l'omessa pronuncia del primo Giudice circa la decorrenza dell'assegno di divorzio, ribadendo, quindi, in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di secondo grado, la richiesta, in accoglimento appunto del gravame anzidetto ed in parziale riforma della decisione del Tribunale, di condanna dell'appellante (principale) a corrisponderle, "a far data dalla domanda (settembre 1998), ovvero, in ipotesi subordinata, a far data dal passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio, quale assegno divorzile, la somma di L. 2.000.000, rivalutabili annualmente in base agli indici ISTAT", si osserva che la Corte Territoriale nulla ha statuito al riguardo, così incorrendo nel vizio, di cui al già citato art. 112 c.p.c.,dedotto dall'odierna ricorrente incidentale in relazione al disposto dell'alt. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Pertanto, il motivo in esame merita accoglimento, onde la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, laddove, decidendo la causa nel merito in ragione della sussistenza delle condizioni previste dall'art. 384 c.p.c., comma 1, ultima parte, dal momento che le circostanze del caso concreto per disporre, a norma della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10, come sostituito della L. n. 74 del 1987, art. 8, l'insorgenza del diritto alla percezione dell'assegno in oggetto a decorrere dalla relativa domanda sono ricavatali, senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto e nel concorso dei presupposti di legge, dallo stesso apprezzamento della Corte Territoriale in ordine alla "sperequazione fra i redditi dei coniugi ... comparativamente considerati" e, segnatamente, alle condizioni economiche dell'onerato, va fissata da tale domanda appunto (ovvero dalla data della costituzione della convenuta nel giudizio di primo grado) la decorrenza dell'assegno di divorzio dovuto alla M..
La sorte delle spese dell'intero giudizio (eccezion fatta per quelle del giudizio di primo grado, non avendo formato oggetto di specifico gravame ad opera di alcuna delle parti, con formazione del relativo giudicato sul punto, la mancata revisione, ad opera della Corte Territoriale, della pronuncia adottata dal Tribunale al riguardo) segue il criterio della soccombenza, liquidandosi dette spese, quanto a quelle del giudizio di appello, nella misura di cui all'impugnata sentenza e, quanto a quelle del giudizio di cassazione, in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre le spese generali egli accessori (I.V.A. e Cassa di Previdenza Avvocati) dovuti per legge.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, fissa dalla domanda la decorrenza dell'assegno di divorzio dovuto alla M., condannando il B. al rimborso in favore di quest'ultima delle spese dell'intero giudizio, liquidate, quanto a quelle di appello, nella misura di cui all'impugnata sentenza e, quanto a quelle di cassazione, in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre le spese generali e gli accessori dovuti per legge.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2006.

14 maggio 2006

ASCENSORE NEL CONDOMINIO. IO ABITO AL PIANO TERRA, MA LO DEVO PROPRIO PAGARE ? SI, PERO' ...

All’interno della vita di un condominio c’è un argomento che spesso toglie il sonno ai condomini per le notevoli spese di gestione e che non sempre trova tutti d’accordo nell’accollarsi le spese e mettere mano al portafoglio: le spese di gestione dell’ascensore.
Ma come vanno suddivise ? Come ci si deve comportare ?

In tema di condominio di edifici, la regola posta dall'articolo 1124 del codice civile relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o proporzione di piano, per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo) in mancanza di criteri condizionali, è applicabile per analogia, ricorrendo l'identica ratio, alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell'ascensore già esistente come evidenzia la giurisprudenza costante.
E il detto articolo così si esprime: “Le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono. Le spese relative ripartite tra essi, per metà in ragione del valore dei singoli piani o proporzione di piano e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo.
Al fine del decorso nella metà della spesa, che ripartite in ragione del valore, si considerano come piani delle cantine, le soffitte o camere attiro elastici solari, qualora non siano di proprietà comune.”
Qual è quindi il calcolo? Le spese che dovranno essere partite con la tabella di cui ci stiamo curvando sono quelle di gestione; quelle cioè necessarie per ottenere il servizio per il quale gli impianti alle opere sono state realizzate:

- la tassa di concessione comunale;
- la revisione periodica da parte dell'unità sanitaria locale;
- la corrente elettrica per il funzionamento dell'ascensore;
- la corrente è illuminante delle scale;
- la manutenzione periodica dell'impianto da parte della ditta incaricata;
- le riparazioni;
- la pulizia delle scale e dell'ascensore.

Il metodo di riparto stabilito dal codice civile all'articolo 1124, il quale si rivolge alla scala ma, per analogia, si unita a quella anche l'ascensore.
La prima metà della spesa da ripartire in proporzione dei millesimi di proprietà; la seconda metà deve invece essere ripartite in base all'altezza di collocazione del piano al quale è posta l'unità immobiliare rispetto al piano di ingresso; per unità poste allo stesso piano la successiva ripartizione fra loro e operata sempre mediante millesimi di proprietà. La legge molto opportunamente, non fissa valori parametrici dei vari piani; riteniamo che non si tratta di mera omissione di approssimazione. Piuttosto il legislatore ha, forse, deliberatamente lasciato libero di muoversi, nell'ambito della graduazione in base all'altezza, onde intervenire per riequilibrare le carature di certo unità che fanno un uso di scale e di ascensore molto più accentuato di altre unità a parità di entità.

13 maggio 2006

PATENTE RITIRATA, MA LA PREFETTURA NON PUO' DORMIRE SUGLI ALLORI !


Se ti hanno ritirato la patente, non tutto è perduto: magari riesci a riaverla facilmente.
L’organo che l'ha ritirata, come
Polizia o Carabinieri (per esempio, per superamento dei limiti di velocità di oltre 40 km/h), la invia, entro 5 giorni, alla Prefettura del luogo dov’è stata commessa la violazione.
Il Prefetto, entro i 15 giorni successivi, emana l’ordinanza di sospensione e ne indica la durata. L’ordinanza ti è notificata immediatamente e comunicata alla Motorizzazione.
Ma ecco il bello, che pochi sanno: se l’ordinanza di sospensione non è emanata entro 15 giorni, puoi chiedere alla Prefettura la restituzione della patente.
Attenzione, il Codice della strada dice che è possibile richiederne la restituzione: leggi l'ultima riga del comma 2 dell'articolo
218. Non è automatica. Quindi sei tu che ti devi “attivare” e scrivere al Prefetto.
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Art.218 Cds.:
"Nuovo codice della strada", decreto legisl. 30 aprile 1992 n. 285 e successive modificazioni. TITOLO VI - DEGLI ILLECITI PREVISTI DAL PRESENTE CODICE E DELLE RELATIVE SANZIONI Capo I - DEGLI ILLECITI AMMINISTRATIVI E DELLE RELATIVE SANZIONI Sezione II - DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE ACCESSORIE A SANZIONI AMMINISTRATIVE PECUNIARIE Art. 218. Sanzione accessoria della sospensione della patente. 1. Nell'ipotesi in cui il presente codice prevede la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo determinato, la patente è ritirata dall'agente od organo di polizia che accerta la violazione; del ritiro è fatta menzione nel verbale di contestazione della violazione. L'agente accertatore rilascia permesso provvisorio di guida limitatamente al periodo necessario a condurre il veicolo nel luogo di custodia indicato dall'interessato, con annotazione sul verbale di contestazione. 2. L'organo che ha ritirato la patente di guida la invia, unitamente a copia del verbale, entro cinque giorni dal ritiro, alla prefettura del luogo della commessa violazione. Il prefetto, nei quindici giorni successivi, emana l'ordinanza di sospensione, indicando il periodo cui si estende la sospensione stessa. Tale periodo, nei limiti minimo e massimo fissati nella singola norma, è determinato in relazione alla gravità della violazione commessa ed alla entità del danno apportato, nonché al pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe cagionare. L'ordinanza è notificata immediatamente all'interessato e comunicata al competente ufficio della Direzione generale della M.C.T.C. Essa è iscritta sulla patente. Il periodo di durata fissato decorre dal giorno del ritiro. Qualora l'ordinanza di sospensione non sia emanata nel termine di quindici giorni, il titolare della patente può ottenerne la restituzione da parte della prefettura. 3. Quando le norme del presente codice dispongono che la durata della sospensione della patente di guida è aumentata a seguito di più violazioni della medesima disposizione di legge, l'organo di polizia che accerta l'ultima violazione e che dalle iscrizioni sulla patente constata la sussistenza delle precedenti violazioni procede ai sensi del comma 1, indicando, anche nel verbale, la disposizione applicata ed il numero delle sospensioni precedentemente disposte; si applica altresì il comma 2. Qualora la sussistenza delle precedenti sospensioni risulti successivamente, l'organo od ufficio che ne viene a conoscenza informa immediatamente il prefetto, che provvede a norma del comma 2. 4. Al termine del periodo di sospensione fissato, la patente viene restituita dal prefetto. L'avvenuta restituzione viene comunicata al competente ufficio della Direzione generale della M.C.T.C., che la iscrive nei propri registri. 5. Avverso il provvedimento di sospensione della patente è ammessa opposizione ai sensi dell'articolo 205. 6. Chiunque, durante il periodo di sospensione della validità della patente, circola abusivamente è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.693,13 a euro 6.773,63. Si applicano le sanzioni accessorie della revoca della patente e del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di tre mesi. In caso di reiterazione delle violazioni, in luogo del fermo amministrativo, si applica la confisca amministrativa del veicolo (1). -------------------------------------------------- (1) Così modificato dall'art 19, D. Legisl. 30 dic. 1999 n. 507.
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FAC-SIMILE
Ill.mo Sig. Prefetto di Pisa
Richiesta restituzione patente sospesa non notificata ex art.218, 2’ c. c.d.s.
Ill.mo Sig. Prefetto,
Il sottoscritto XXXXXXXX, nato a XXXXXX il XXXXXX e residente in XXXX, Via XXXXXXX, osserva, in qualità di conduttore del veicolo targato XXXXXX, di aver subito in data XXXXXXX, l’immediata contestazione di un accertamento di infrazione rilevato mediante apparecchiatura ... (consultate verbale n.XXXXXXXX con relativo scontrino – all. n.1) e compiuto, come sostenuto dalla Polizia Stradale, alle ore XXXX sul tratto stradale XXXXXXXXXXX; mediante tale accertamento è stata contestata la violazione dell’art. 142/9 del C.d.S.
Sempre il soggetto ricorrente, mediante detta contestazione, è stato reso edotto di dovere corrispondere, a titolo di sanzione pecuniaria, un pagamento in misura ridotta di complessivi EURO ... con contestuale sospensione, a titolo di sanzioni accessorie, della patente di guida e la detrazione di n.10 punti dalla patente di guida.
Tuttavia, a tutt’oggi, non risulta ancora eseguita da parte della S.V. la notifica del suddetto adottato atto di sospensione che pertanto, considerando il disposto letterale dell’art.218, 2’ comma c.d.s., è da considerarsi ormai a tutti gli effetti decaduto (essendo trascorso infatti un termine ben superiore a 15 giorni tra la data del materiale ritiro e quella odierna) indipendentemente dalla presentazione o meno di un eventuale ricorso gerarchico in opposizione o presso il Giudice di Pace competente avverso gli adottati provvedimenti.
Tutto ciò premesso e ritenuto il sottoscritto con la presente, considerando le motivazioni appena indicate,
CHIEDE
l’immediata restituzione della patente di guida.
Ringraziando anticipatamente, porge distinti saluti.
Con ossequio.
XXXXX, lì XXXXXX

---------------------------------------------
XXXXXX XXXXXXXX

Allegati:
n.1: copia accertamento di infrazione notificato.

07 maggio 2006

MULTA. IL PREFETTO NON VI HA ASCOLTATO DOPO IL VOSTRO RICORSO ?

Se avete fatto ricorso al Prefetto contro una multa chiedendo di essere ascoltati e ciò non è avvenuto è possibile fare ricorso al Giudice di Pace, ecco come:

RICORSO IN OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA
Cartella di pagamento n.
ILL.MO SIG. GIUDICE DI PACE DI …
Il sottoscritto Sig. ………nato a … il ……… e residente a ……….. Via …………, luogo dove elegge anche domicilio ai fini della presente opposizione espone quanto segue:
1.Il Sig. proprietario del veicolo…, il giorno…alle ore…mentre percorreva…veniva fermato dagli agenti di P.S Sigg.ri….i quali elevavano verbale di contestazione per violazione dell’art. c.d.s che si allega in fotocopia, in cui si legge testualmente “…”;
2.Con tale verbale si intimava il pagamento dell’importo della sanzione amministrativa pecuniaria pari ad €… da pagarsi entro 60 giorni dalla contestazione oltre alla sanzione accessoria consistente nella decurtazione di …punti della patente;
3. Il Sig. …in data…presentava ricorso avverso il predetto verbale avanti il Prefetto di …..;
4.Dalla semplice lettura del ricorso di cui sopra si evince che il ricorrente richiedeva ai sensi e per gli effetti dell’art. 203 comma 1 l’audizione personale;
5.La Prefettura non ha mai assolto all’obbligo di convocazione del ricorrente, limitandosi a respingere il ricorso con la seguente motivazione “…”;
Con il presente atto, il sottoscritto Sig. espressamente ricorre avverso tale ordinanza-ingiunzione per il seguente motivo di diritto:
1.Violazione del diritto alla difesa per mancata audizione del ricorrente.
Il combinato disposto degli artt. 3 e 24 della Costituzione sancisce il diritto alla difesa di ogni singolo cittadino avanti lo Stato.
A tal proposito l’art. 24 della Cost. testualmente recita “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
L’art. 203 I c. cd.s stabilisce che “Il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’art. 196 , nel termine di giorni 60 dalla contestazione o dalla notificazione, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al prefetto del luogo della commessa violazione, da presentarsi all’ufficio o comando cui appartiene l’organo accertatore ovvero da inviarsi agli stessi con raccomandata con ricevuta di ritorno. Con il ricorso possono essere presentati i documenti ritenuti idonei e può essere richiesta l’audizione personale”.
Alla luce di quanto sopra esposto l’ordinanza ingiunzione emessa dal Prefetto in data …risulta affetta da nullità insanabile.
Di questa opinione illuminante Pretura Torino 20.12.1995 che stabilisce “La motivazione e la comunicazione del provvedimento adottato da una p.a su una domanda, rivolta ad essa da un cittadino, deve essere considerata integrativa, anche secondo il pronunciamento della sentenza n. 311/94 della Corte Cost., del procedimento amministrativo sanzionatorio della l. n. 689/81, per cui il prefetto, investito del ricorso ex art. 203 c. d.s sul verbale di contestazione di un’infrazione al codice della strada, dovendo dare all’interessato tutte le facoltà legali possibili previste per l’esercizio del diritto di difesa, ha il dovere di motivare e comunicare l’eventuale provvedimento di rigetto, altrimenti incorre (al pari dell’ipotesi di mancata audizione del ricorrente che ha chiesto di essere ascoltato) in un vizio insanabile del procedimento che determina la nullità della successiva ordinanza-ingiunzione”.
Tutto quanto sopra ritenuto e premesso, oltre che per ogni altra motivazione che l’esponente si riserva di enunciare, con il presente atto
RICORRE
Alla S.V. Ill.ma affinché, reietta ogni contraria istanza eccezione o difesa, dichiari il provvedimento impugnato nullo, annullabile e/ o inesistente e pertanto conseguentemente privo di qualsiasi effetto nei confronti del ricorrente, revocando tutte le ingiunzioni e le sanzioni in esso previste.
L’esponente chiede altresì che l’Ill.mo Giudice di Pace adito voglia sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato.
Con ogni più ampia riserva di articolare dedurre e produrre.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari del giudizio.
Si allega:
1.Originale della cartella n…
2. Ricorso avanti il Prefetto di…
3. Ordinanza-ingiunzione del …
…il…
FIRMA


(N.B.: La formula è unicamente orientativa e deve essere integrata anche sul caso concreto)

MULTA. CARTELLA ESATTORIALE PER MULTA SENZA INDICAZIONE DELL'AUTORITA' CUI RICORRERE ? ECCO COME FARE RICORSO

Avete ricevuto una multa senza indicazione dell'Autorità a cui rivolgersi per far ricorso. Potete avventurarvi in un ricorso con il fac-simile che vieni qui di seguito proposto.
RICORSO IN OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA
Cartella di pagamento n.
ILL.MO SIG. GIUDICE DI PACE DI …

Il sottoscritto Sig. ………nato a … il ……… e residente a ……….. Via …………, luogo dove elegge anche domicilio ai fini della presente opposizione espone quanto segue:
1. L’istante ha ricevuto in data……. la notifica di una cartella di pagamento di €…emessa dal Comune di e relativa al mancato pagamento di una sanzione amministrativa.
Dalla semplice lettura di detta cartella si evince che è totalmente mancante l’indicazione dell’autorità competente a ricevere un eventuale ricorso.
Con il presente atto si chiede pertanto che l’Ill.mo Giudice di Pace adito voglia dichiarare detta cartella nulla e/o annullabile per i seguenti motivi:
1.lesione del diritto alla difesa e consequenziale violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione
Come già sopra evidenziato dalla semplice lettura della cartella n. si evince l’omessa indicazione dell’autorità avanti a cui il destinatario della sanzione amministrativa può fare ricorso, per far valere le proprie ragioni.
Tale omessa indicazione lede gravemente il diritto alla difesa costituzionalmente tutelato.
A tal proposito l’art. 24 Cost. testualmente sancisce che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
La verità incontestabile ravvisabile in tale precetto di rango costituzionale è che per assicurare l’effettività del diritto di difesa occorre che tale concetto non rimanga una mera enunciazione astratta ma si concretizzi nel fornire al cittadino gli strumenti indispensabili per detta realizzazione.
La mancata indicazione dell’Autorità competente avanti a cui il cittadino può proporre ricorso al fine di far valere le proprie ragioni, alla luce di quanto sopra esposto, lede pertanto in modo lapalissiano il disposto dell’art. 24 della Cost. con la consequenziale nullità e/o annullabilità di detta cartella palesemente ingiusta.
Tutto quanto sopra ritenuto e premesso, oltre che per ogni altra motivazione che l’esponente si riserva di enunciare, con il presente atto

RICORRE
Alla S.V. Ill.ma affinché, reietta ogni contraria istanza eccezione o difesa, dichiari il provvedimento impugnato incostituzionale, nullo, annullabile e/ o inesistente e pertanto conseguentemente privo di qualsiasi effetto nei confronti del ricorrente, revocando tutte le ingiunzioni e le sanzioni in esso previste.
L’esponente chiede altresì che l’Ill.mo Giudice di Pace adito voglia sospendere l’efficacia del provvedimento impugnato.
Con ogni più ampia riserva di articolare dedurre e produrre.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari del giudizio.
…il…
FIRMA
Si produce:
1.Originale della cartella esattoriale n.
(N.B.: La formula è unicamente orientativa e deve essere integrata anche sul caso concreto)

CINTURE DI SICUREZZA. NUOVE NORME. LEGGETE ATTENTAMENTE IL D.L. 13.03.2006 N.150. G.U. 13.04.2006

E' stato esteso l'uso obbligatorio delle cinture di sicurezza a tutte le categorie internazionali di autoveicoli adibiti al trasporto di persone e di merci, in particolare a quelli di massa superiore a 3,5 tonnellate finora esclusi dall'obbligo (veicoli commerciali per il trasporto di carichi pesanti, autobus).
E' quanto previsto dal decreto legislativo n. 150 del 13 marzo 2006 in attuazione della direttiva 2003/20/CE che modifica la direttiva 91/671/CEE.
Il provvedimento detta anche misure di sicurezza per il trasporto di bambini ed individua particolari categorie esentate dall'obbligo della cintura di sicurezza.

DECRETO LEGISLATIVO 13 marzo 2006, n.150
Attuazione della direttiva 2003/20/CE che modifica la direttiva 91/671/CEE relativa all'uso obbligatorio delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per i bambini nei veicoli. Modifiche al codice della strada.
(GU n. 87 del 13-4-2006)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;Vista la legge 18 aprile 2005, n. 62, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2004;Visto il nuovo codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ed in particolare gli articoli 172, 126-bis e 169;Vista la direttiva 2003/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 aprile 2003, che modifica la direttiva 91/671/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'uso obbligatorio delle cinture di sicurezza sugli autoveicoli di peso inferiore a 3,5 tonnellate;Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 24 novembre 2005;Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 23 febbraio 2006;Sulla proposta del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell'economia e delle finanze e della salute;
E m a n a
il seguente decreto legislativo:Art. 1.Modifiche all'articolo 172 del decreto legislativo n. 285 del 1992
1. L'articolo 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e' sostituito dal seguente:
Art. 172 (Uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per bambini). - 1. Il conducente ed i passeggeri dei veicoli delle categorie M1, N1, N2 ed N3, di cui all'articolo 47, comma 2, muniti di cintura di sicurezza, hanno l'obbligo di utilizzarle in qualsiasi situazione di marcia. I bambini di statura inferiore a 1,50 m devono essere assicurati al sedile con un sistema di ritenuta per bambini, adeguato al loro peso, di tipo omologato secondo le normative stabilite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, conformemente ai regolamenti della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite o alle equivalenti direttive comunitarie.
2. Il conducente del veicolo e' tenuto ad assicurarsi della persistente efficienza dei dispositivi di cui al comma 1.3. Sui veicoli delle categorie M1, N1, N2 ed N3 sprovvisti di sistemi di ritenuta:
a) i bambini di eta' fino a tre anni non possono viaggiare;b) i bambini di eta' superiore ai tre anni possono occupare un sedile anteriore solo se la loro statura supera 1,50 m.
4. I bambini di statura non superiore a 1,50 m, quando viaggiano negli autoveicoli per il trasporto di persone in servizio pubblico di piazza o negli autoveicoli adibiti al noleggio con conducente, possono non essere assicurati al sedile con un sistema di ritenuta per bambini, a condizione che non occupino un sedile anteriore e siano accompagnati da almeno un passeggero di eta' non inferiore ad anni sedici.5. I bambini non possono essere trasportati utilizzando un seggiolino di sicurezza rivolto all'indietro su un sedile passeggeri protetto da airbag frontale, a meno che l'airbag medesimo non sia stato disattivato anche in maniera automatica adeguata.6. Tutti gli occupanti, di eta' superiore a tre anni, dei veicoli in circolazione delle categorie M2 ed M3 devono utilizzare, quando sono seduti, i sistemi di sicurezza di cui i veicoli stessi sono provvisti. I bambini devono essere assicurati con sistemi di ritenuta per bambini, eventualmente presenti sui veicoli delle categorie M2 ed M3, solo se di tipo omologato secondo quanto previsto al comma 1.7. I passeggeri dei veicoli delle categorie M2 ed M3 devono essere informati dell'obbligo di utilizzare le cinture di sicurezza, quando sono seduti ed il veicolo e' in movimento, mediante cartelli o pittogrammi, conformi al modello figurante nell'allegato alla direttiva 2003/20/CE, apposti in modo ben visibile su ogni sedile.Inoltre, la suddetta informazione puo' essere fornita dal conducente, dal bigliettaio, dalla persona designata come capogruppo o mediante sistemi audiovisivi quale il video.8. Sono esentati dall'obbligo di uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per bambini:
a) gli appartenenti alle forze di polizia e ai corpi di polizia municipale e provinciale nell'espletamento di un servizio di emergenza;b) i conducenti e gli addetti dei veicoli del servizio antincendio e sanitario in caso di intervento di emergenza;c) gli appartenenti ai servizi di vigilanza privati regolarmente riconosciuti che effettuano scorte;d) gli istruttori di guida quando esplicano le funzioni previste dall'articolo 122, comma 2;e) le persone che risultino, sulla base di certificazione rilasciata dalla unita' sanitaria locale o dalle competenti autorita' di altro Stato membro delle Comunita' europee, affette da patologie particolari o che presentino condizioni fisiche che costituiscono controindicazione specifica all'uso dei dispositivi di ritenuta. Tale certificazione deve indicare la durata di validita', deve recare il simbolo previsto nell'articolo 5 della direttiva 91/671/CEE e deve essere esibita su richiesta degli organi di polizia di cui all'articolo 12;f) le donne in stato di gravidanza sulla base della certificazione rilasciata dal ginecologo curante che comprovi condizioni di rischio particolari conseguenti all'uso delle cinture di sicurezza;g) i passeggeri dei veicoli M2 ed M3 autorizzati al trasporto di passeggeri in piedi ed adibiti al trasporto locale e che circolano in zona urbana;h) gli appartenenti alle forze armate nell'espletamento di attivita' istituzionali nelle situazioni di emergenza.
9. Fino all'8 maggio 2009, sono esentati dall'obbligo di cui al comma 1 i bambini di eta' inferiore ad anni dieci trasportati in soprannumero sui posti posteriori delle autovetture e degli autoveicoli adibiti al trasporto promiscuo di persone e cose, di cui dell'articolo 169, comma 5, a condizione che siano accompagnati da almeno un passeggero di eta' non inferiore ad anni sedici.10. Chiunque non fa uso dei dispositivi di ritenuta, cioe' delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per bambini, e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 68,00 euro a 275,00 euro. Quando il mancato uso riguarda il minore, della violazione risponde il conducente ovvero, se presente sul veicolo al momento del fatto, chi e' tenuto alla sorveglianza del minore stesso. Quando il conducente sia incorso, in un periodo di due anni, in una delle violazioni di cui al presente comma per almeno due volte, all'ultima infrazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da quindici giorni a due mesi, ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI.11. Chiunque, pur facendo uso dei dispositivi di ritenuta, ne altera od ostacola il normale funzionamento degli stessi e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 34,00 euro a 138,00 euro.12. Chiunque importa o produce per la commercializzazione sul territorio nazionale e chi commercializza dispositivi di ritenuta di tipo non omologato e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 716,00 euro a 2.867,00 euro.13. I dispositivi di ritenuta di cui al comma 12, ancorche' installati sui veicoli, sono soggetti al sequestro ed alla relativa confisca, ai sensi delle norme di cui al capo I, sezione II, del titolo VI.».
Art. 2.Modifiche alla tabella allegata all'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 285 del 1992
1. Nella tabella allegata all'articolo 126-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, le parole: «articolo 172 commi 8 e 9» sono sostituite dalle seguenti: «articolo 172 commi 10 e 11».
Art. 3.Modifiche all'articolo 169, comma 5 del decreto legislativo n. 285 del 1992
1. Il comma 5 dell'articolo 169 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e' sostituito dal seguente:
«5. Fino all'8 maggio 2009 sulle autovetture e sugli autoveicoli adibiti al trasporto promiscuo di persone e cose e' consentito il trasporto in soprannumero sui posti posteriori di due bambini di eta' inferiore a dieci anni, a condizione che siano accompagnati da almeno un passeggero di eta' non inferiore ad anni sedici.».
Art. 4.Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.Dato a Roma, addi' 13 marzo 2006
CIAMPI
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri La Malfa, Ministro per le politiche comunitarie Lunardi, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Fini, Ministro degli affari esteri Castelli, Ministro della giustizia Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze Storace, Ministro della salute
Visto, il Guardasigilli: Castelli

AUTOVELOX. PATENTE SOSPESA SOLO CON CONTESTAZIONE IMMEDIATA...LA CASSAZIONE E' CHIARA !

Il principio desumibile dall’art. 6 della legge n. 689 del 1981 e dall’art. 196 cod. strad., secondo il quale degli illeciti amministrativi sanzionabili con il pagamento di una somma di danaro rispondono, in solido con il trasgressore, anche i proprietari ed i titolari di diritto di godimento delle cose servite per commettere la violazione, salvo che dimostrino che la cosa è stata usata contro la loro volontà, non è applicabile con riguardo alla sanzione accessoria della sospensione della patente di guida prevista nel caso di superamento di oltre quaranta Km. orari del limite di velocità, ove questo sia accertato mediante apparecchiatura autovelox e non contestato immediatamente.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7008 del 28 marzo 2006, ricordando che, come precisato dalla sentenza n. 27/2005 della Corte Costituzionale, la sanzione in questione ha carattere squisitamente personale ed afflittivo, incidendo sulla legittimazione alla guida, e gravando sull’atto amministrativo di abilitazione, mentre solo le sanzioni di natura patrimoniale sono suscettibili di essere oggetto del regime di solidarietà passiva che coinvolge il proprietario del veicolo.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Sentenza n. 7008 del 28 marzo 2006
(Pres. G. Cappuccio, Rel. C. Piccininni)

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di ricorso, che devono essere esaminati congiuntamente perché fra loro connessi, M.B. ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla statuizione avente ad oggetto l'irrogazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per un mese.
In proposito precisava di aver dato dimostrazione del fatto che al momento dell'infrazione la vettura di sua proprietà era guidata da altri, e da ciò sarebbe derivata l'inapplicabilità della detta sanzione, attesa la sua natura personale.
Sul punto sarebbe stato irrilevante il fatto che la vettura circolasse o meno con il suo consenso, e comunque il Prefetto non avrebbe assolto l'onere probatorio incombente a suo carico in ordine all'individuazione del soggetto che al momento della rilevazione dell'infrazione si trovava alla guida del veicolo, cos ì come analogamente il giudice di pace avrebbe omesso di considerare la documentazione rilevante al riguardo prodotta da esso ricorrente. La censura avente ad oggetto la pretesa violazione dell'art. 6 1. 1981/689 è fondata.
Il giudice di pace ha infatti ritenuto che detto articolo " e l'art. 196 C.d.S. stabiliscono un principio generale in base al quale degli illeciti amministrativi punibili col pagamento di una somma di danaro rispondono, in solido con il trasgressore, anche i proprietari ed i titolari di diritto di godimento delle cose servite per commettere la violazione, salvo che dimostrino che la cosa è stata usata contro la loro volontà.
Pur essendo il principio correttamente enunciato, lo stesso non risulta tuttavia applicabile al caso di specie poiché , richiamato in via generale il principio della personalità della responsabilità amministrativa sancito dall'art. 3 della stessa legge n. 689, occorre considerare che la sanzione della sospensione della patente in esame ha carattere schiettamente personale, rispetto alla quale dunque non è applicabile il richiamato principio di solidarietà affermato dai citati artt. 6 e 196 (Corte Cost. 2005/27). E' ben vero che in diverse occasioni la Corte Costituzionale aveva avuto occasione di affermare che la responsabilità del proprietario di un veicolo per le violazioni commesse da chi si trovi alla guida costituisce un principio di ordine generale, operante anche nel caso di fermo di vettura di proprietà di terzi.
Peraltro in tali ipotesi si trattava sempre di sanzioni aventi il carattere della patrimonialità, in quanto tali suscettibili di essere oggetto del regime di solidarietà passiva coinvolgente il proprietario del veicolo, mentre nella specie la sanzione della sospensione della patente ha natura afflittiva, ed incide sulla legittimazione alla guida, così gravando sull'atto amministrativo di abilitazione. Da ciò consegue che ad essa non è applicabile il principio di solidarietà di cui all'art. 6 1. 1981/689 e che il ricorso deve essere accolto sotto il profilo indicato, restando assorbiti gli ulteriori profili di censura.
Ne discende la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al Giudice di Pace di Fossano anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Giudice di Pace di Fossano in persona di altro giudicante anche per le spese del presente giudizio.

Roma, 26.1.2006.

05 maggio 2006

PATENTE. HO RICEVUTO LA MULTA CASA. POSSO SALVARE I PUNTI ?

E’ illegittimo togliere i punti della patente al proprietario di un veicolo che non sia stato identificato mentre commetteva un’infrazione.
Peccato che, se non Vi cautelate autodenunciandoVi, rischiate che la sanzione “accessoria” di soli due punti di patente si trasformi in una sanziona pecuniaria minima di Euro 343,35.
Come è noto, l’art. 126-bis del Nuovo codice della strada ha introdotto, con effetto a decorrere dal 1 gennaio 2003, la ormai celebre patente a punti.
Da circa due anni, tutti noi sappiamo che, ogni qualvolta commettiamo un illecito amministrativo, quest’ultimo determinerà non solo la “solita” sanzione pecuniaria, ma anche la ben più temibile sanzione accessoria della decurtazione dei punti.
Per primo in Italia, il Giudice di Pace di Voltri, nella persona del dott. Nativi, con ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale in data 8 novembre 2003 (in Nuova giur. lig., 2004, I, 5), ha rilevato un profilo di incostituzionalità dell’art. 126-bis, comma 2 laddove il medesimo prevede(va) che, nel caso di mancata identificazione del trasgressore, la decurtazione dei punti dovesse essere operata a carico del proprietario del veicolo, salvo che il medesimo non comunicasse all’organo di polizia procedente, entro trenta giorni dalla richiesta, i dati personali e della patente del conducente al momento della violazione.
Una simile norma, recita l’ordinanza menzionata, «appare in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto attribuisce una responsabilità oggettiva del proprietario del veicolo per fatto altrui con una sanzione di carattere personale».
In altre parole, poiché la decurtazione dei punti è sanzione sui generis più facilmente accostabile alle sanzioni penali che a quelle civili, pare errato (e contrario ai principi di cui alla L. 689/81) costruire un sistema di solidarietà a carico del proprietario del veicolo per le violazioni commesse dal trasgressore.
Trascorrono i mesi e l’opinione di chi vede nell’art. 126-bis, comma 2 N.C.d.S una norma palesemente configgente con il dettato costituzionale si moltiplicano tanto che, sul ruolo della Camera di consiglio della Consulta del 15 dicembre scorso, si legge che ben 10 sono stati i giudici di pace italiani che hanno sollevato questione di legittimità costituzionale del menzionato articolo.
Fin qui nulla di nuovo, se non la speranza di noi trasgressori di poterci nel futuro limitare a pagare “multe salate” ma di avere salva la patente, naturalmente quando “non ci fermano”.
Oggi 24 gennaio 2005 il sito web di Repubblica pubblica in mattinata (penso in anteprima) la notizia sullo “stop” della patente a punti a seguito della bocciatura dalla Consulta.
E l’idea che la Corte costituzionale abbia “ristabilito le cose” la serbo durante la lettura di 14 delle 15 pagine che corro a stampare nel pomeriggio, quando la sentenza viene “pubblicata” dal medesimo efficientissimo sito.
Come si legge nella motivazione sopra riportata, i giudici costituzionali hanno accolto le censure di violazione dell’art. 3, ritenendo l’art. 126-bis disposizione “irragionevole”.
La Consulta spiega il perché della bocciatura e il punto 9.2.2 si chiude come segue: “l’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, nella parte in cui assoggetta il proprietario del veicolo alla decurtazione dei punti della patente quando ometta di comunicare all’Autorità amministrativa procedente le generalità del conducente che abbia commesso l’infrazione alle regole della circolazione stradale, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo”.
Fin qui bene, benissimo.
Segue però un - a mio modesto parere – funesto presagio nel punto 10.
Punto di poche righe ma capace di modificare la pregnanza dell’intera sentenza.
“L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, rende, tuttavia, necessario precisare che nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180, comma 8, del codice della strada”.
Detto altrimenti: non Vi ricordate chi era al volante? Peggio per Voi.
La vostra patente è salva ma sarete tenuti a sborsare circa 350 Euro (questo appunto prevede l’art. 180, all’8 comma). Oltre alla somma prevista per la violazione commessa; questo va da sé.
Gli effetti di questa pronuncia?
La sanzione accessoria della decurtazione dei punti della patente a carico del proprietario del veicolo non potendo essere automatica (per Bacco, era incostituzionale!) diviene coattiva, o se si preferisce socialmente automatica.
Per la serie, si stava meglio (e molto) quando si stava peggio.
Da oggi, infatti, scordarsi di inviare la comunicazione con i dati del trasgressore significa correre concretamente il rischio di vedersi notificare un avviso di pagamento di Euro 350,00 circa.
E, visto che – personalmente - non me lo posso permettere, ogni qualvolta mi arriverà una “multa”, impiegherò ben meno di trenta giorni ad effettuare la comunicazione richiestami; e se non ero io al volante, pazienza, tanto la macchina in realtà la uso quasi sempre io!
Queste le divagazioni di un praticante avvocato che legge una sentenza che, dovendosi pronunciare sulla possibile bocciatura di un sistema per diverse ragioni iniquo, lo ha modificato, rendendolo peggiore, e per giunta in palese contrasto con le linee guida che il Ministero dell’Interno ha dettato la scorsa estate con alcune note e circolari (l’invito è a leggere la
circolare Min. Interno del 12 agosto 2003 “Disposizioni per l’applicazione della disciplina della patente a punti”, in cui al punto 3 si spiegano proprio le ragioni per cui non può trovare applicazione la sanzione prevista dall’art. 180, 8 comma).
A proposito, cosa dice l’art. 180 N.c.d.S.?
“Chiunque, senza giustificato motivo, non ottempera all’invito dell’autorità di presentarsi, entro il termine stabilito nell’invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire documenti ai fini dell’accertamento delle violazioni amministrative previste dal presente codice, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 343,35 a Euro 1.376,55”.
Rimane una speranza: che “illuminati” Giudici di pace forniscano un’interpretazione estensiva della locuzione “senza giustificato motivo” ed affermino che non è possibile imporre ad un cittadino di ricordare, a distanza di mesi, se si trovava o meno alla guida della sua auto in circostanze di tempo e luogo ricostruibili attraverso non un evento (i “vigili” non lo hanno neppure fermato) ma una data e un’ora.
Mi sembra di essere tornato a scuola, quando il Preside del Liceo aveva sempre qualcosa da dire sulla “giustificazione” che gli portavo. Chissà che i Giudici di pace non decidano di chiudere un occhio quando alla domanda “chi era quel giorno al volante?” diventerò rosso.
Un po’ per l’imbarazzo di non saper rispondere, ma molto più per il timore di veder così aspramente sanzionata la mia scarsa memoria.

02 maggio 2006

MULTE. LA RIVINCITA ? IN TRIBUNALE.

Fino al 1° Marzo per contare la sentenza di un Giudice di Pace si doveva fare ricorso in Cassazione. Ora, invece, ci si deve appellare al Tribunale: lo prevede il Decreto n.40 del 02.02.2006.
Il Codice di procedura civile prevede che in Tribunale bisogna avvalersi di un legale. E c’è una complicazione pur vincendo, ovvero è probabile che il Tribunale non condanni la controparte (ovvero le Forze dell’Ordine) a pagare la parcella del nostro avvocato.
Probabilmente l’appello in Tribunale verrà sfruttato soltanto da chi, convinto di avere subito un torto, ha ricevuto una sanzione pesante.
Esistono, quindi, pro e contro.
I pro sono:
1- prima per ricorrere in Cassazione era necessario avvalersi di un avvocato abilitato a difendere in Cassazione, eleggere domicilio a Roma e presenziare alle udienze. Ora, con qualsiasi avvocato, si fa appello in Tribunale della città di competenza territoriale del Giudice di Pace che ha sentenziato;
2- Col ricorso in Cassazione, si potevano contestare soltanto vizi di legge. Adesso il tribunale giudica sul merito della causa, cioè su prove e svolgimento dei fatti.
I contro sono:
1- Se un Giudice di pace accoglieva il ricorso di un automobilista, raramente la controparte (le Forze dell’Ordine) faceva ricorso in Cassazione. Adesso è molto probabile un notevole aumento dei giudizi in secondo grado e, come conseguenza, più sentenze d’appello sfavorevoli all’automobilista.I tempi d’attesa per ottenere una sentenza di un Tribunale variano secondo il carico di lavoro e il numero dei giudici. Ora esiste un rischio: i Tribunali oberati dalle richieste di appello, potrebbero vedersi costretti a fissare le udienze in là nel tempo e a sentenziare in ritardo.

BENVENUTI, CARI CLIENTI


Lo studio legale dell'Avv. Gianni Casale dedica ai propri clienti un nuovo spazio con lo scopo di evidenziare notizie e temi di strettissima attualità della vita quotidiana per dare indicazioni su come orientarsi nei problemi quotidiani che investono ogni cittadino.
L'intendimento è quello di porre l'attenzione principalmente su temi che possono richiamare l'interesse delle persone perchè riguardanti problematiche del vivere quotidiano e di frequente riproposizione.
Ma vuole essere anche uno spazio a disposizione di tutti i clienti o di coloro, pur non ancora clienti dello studio, abbiamo il desiderio di porre questioni o problematiche che possano essere di interesse comune. L'autore di tale iniziativa auspica che tale spazio possa diventare un punto di riferimento per un primo orientamento su questioni che coinvolgano l'intera clientela per poi essere maggiormente, e più compiutamente, approfonditi all'abbisogna.