19 dicembre 2009

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: LA CONVIVENTE EQUIPARATA ALLA MOGLIE, GIU' LE MANI DA TUTTE E DUE !

Non il ferma il lavoro giurisprudenziale di equiparazione della convivenza more uxorio alla famiglia legittima fondata sul matrimonio ex art. 29 Costituzione, il quale rappresenta un tema molto sentito dalle coppie nel nostro Paese.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 40727 del 22 ottobre 2009, si è pronunciata in tal senso ed ha ritenuto integrato l’elemento oggettivo del reato ex art. 572 c.p. – maltrattamenti in famiglia - in relazione alla condotta aggressiva tenuta dal convivente nei confronti della compagna.
Richiamandosi ad un indirizzo consolidato la Corte ha affermato che la nozione di famiglia sottesa alla norma penale di cui all’art. 572 c.p. è da intendersi estensivamente, nel senso che il bene giuridico oggetto della tutela penale è comprensivo anche della c.d. “famiglia di fatto”.
La conseguenza, ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, è che non assume alcun rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia commessa ai danni di una persona convivente "more uxorio", atteso che il richiamo contenuto nell'art. 572 cod. pen. alla "famiglia" deve intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo".
Questo intervento, considerato in uno ai precedenti conformi, suscita alcune considerazioni in relazione sia al diritto penale, sia all’ordinamento giuridico in generale
Con riguardo al primo profilo, resta da capire se ed in che misura l’interpretazione estensiva della norma penale sia compatibile con il principio di tassatività e stretta legalità che governano e presidiano la legislazione penale, considerato che detta tecnica interpretativa, produce un effetto espansivo del campo d’applicazione della norma, aumentando il numero delle condotte potenzialmente suscettibili di acquisire rilevanza penale.
Con riguardo all’ordinamento giuridico, invece, si evidenzia che, attraverso pronunce di questo tipo, la giurisprudenza lancia evidenti segnali al Legislatore circa necessità di intervenire de iure condendo, positivizzando e normando un istituto – quello della famiglia di fatto – che si afferma con prepotenza nella vita quotidiana, esiste, opera nella vita delle persone, con la conseguenza che non si può più far finta di nulla “nascondendosi dietro un dito”.
Questa sentenza, infatti, si colloca in un più ampio indirizzo che trova corrispondenza anche in campo civile nelle pronunce che statuiscono in capo al convivente, solo per fare qualche esempio, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e morale derivante dalla morte del compagno (Cass. 2988/94); a continuare ad abitare nella casa famigliare di proprietà esclusiva dell’altro coniuge nel caso in cui divenga affidatario dei figli a seguito della cessazione della convivenza (C. Cost. 166/1998); a subentrare all’assegnatario di alloggio di edilizia economica e popolare in quanto appartenente al nucleo famigliare (Cass. 559/89); a divenire successibile nella titolarità del contratto di locazione di immobili urbani ad uso abitativo i caso di morte del convivente more uxorio (C. Cost. 404/88).

07 dicembre 2009

ACQUISTO DI UN IMMOBILE: OCCHIO AI DEBITI IN SOSPESO...

Quante volte vi sarà capitato di chiedervi se in caso di acquisto di un appartamento cosa accade se a “cose fatte” spuntano debiti del precedente proprietario verso il condominio.
Il consiglio preliminare è quello di accertare presso l'amministratore la posizione economica del venditore verso il condominio stesso e, volendo abbondare, in sede di preliminare e di rogito far evidenziare che il venditore dichiara che nessuna pendenza esiste nei confronti del condominio.
Ma tutto questo, sappiate, Vi tutela nei confronti unicamente del proprietario in sede di recupero delle somme che dovreste trovarVi a dover “sborsare” al condominio se questi, nel momento del vostro subentro, vi dovesse notificare il pagamento di un debito contratto dal precedente proprietario.
Su tale tema con sentenza n. 23686 del 9 novembre 2009, la Corte di Cassazione torna a occuparsi di una problematica nota e piuttosto frequente in materia condominiale, inerente alla ripartizione delle spese condominiali fra il condomino che ha venduto il proprio immobile e il soggetto che ha acquistato il detto immobile, divenendo così condomino.
Il caso di cui si è occupato la Corte di Cassazione nasce dall'opposizione di un condomino innanzi al Giudice di Pace avverso un decreto ingiuntivo emesso per contributi dovuti ex art. 63 disp. att. c.c.; a fondamento dell'opposizione il condomino pone appunto la circostanza di aver venduto l'immobile prima della delibera delle spese oggetto del provvedimento d'ingiunzione; il Giudice di Pace rigetta l'opposizione rilevando in particolare che la trascrizione (e quindi la conoscenza nei terzi) della vendita dell'appartamento de quo era avvenuta successivamente alla delibera di approvazione della spesa di cui al decreto e che l'amministratore non è onerato a verificare i registri immobiliari per accertare la titolarità della proprietà. I Giudici di legittimità, nella sentenza esaminata, cassano però la sentenza del Giudice di Pace (con rinvio ad altro G.d.P.), evidenziando ancora una volta come, stante il rapporto di natura reale che lega il condomino alla proprietà dell'immobile, la vendita del bene comporta la perdita della qualità di condomino dell'ex proprietario (non rilevando la trascrizione del relativo atto, avente solo fini di pubblicità dichiarativa) e l'impossibilità di chiedere nei confronti di quest'ultimo il decreto ingiuntivo di cui al richiamato art. 63 disp. att. c.c., non essendo possibile peraltro configurare, per le medesime ragioni, la figura del condomino “apparente” (ossia di un soggetto che, con comportamenti anche univoci, possa ingenerare nell'amministratore il ragionevole convincimento di essere l'effettivo condomino, cfr. Trib. Bari, Sez. III, 25.7.08; Trib. Napoli, 13.3.06).
Va detto che ai sensi dell'art. 1123 del Codice Civile, i condomini sono tenuti a sostenere le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, così come per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Trattasi di obbligazioni propter rem (costante la giurisprudenza in tal senso) posto che l'obbligo deriva dalla titolarità del diritto reale sull'immobile (Cass. Civ. 6323/2003).
L'articolo 63 delle disposizioni di attuazione al Codice Civile prevede (al secondo comma) una solidarietà tra il venditore e l'acquirente, nei confronti del condominio, per il pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente, il tutto nell'ottica di agevolare l'amministrazione condominiale al recupero delle spese condominiali.
Tuttavia il legislatore nulla dice in ordine al momento del sorgere del contributo condominiale, ossia se quest'ultimo sorga nel momento dell'autorizzazione accordata all'amministratore a compiere la spesa nell'interesse del condominio, ossia al momento della delibera, o al momento in cui sia sorta effettivamente la necessità della spesa ovvero ne sia seguita la concreta attuazione. Il problema è di non poco rilievo, anche in punto di fatto, se si pone attenzione alla circostanza che è assai frequente, nella gestione condominiale, che intercorra un considerevole lasso di tempo tra il sorgere della necessità della spesa o la concreta esecuzione dei lavori di manutenzione e il momento della delibera di approvazione della spesa medesima.
L'orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr. Cass. 23345/08, 12013/04, 6323/03) ritiene che l'obbligo del condomino al pagamento dei contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio debba ancorarsi al momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero si sia data concreta attuazione ai lavori di manutenzione, posto che la relativa delibera assembleare di approvazione della spesa ha la funzione di rendere liquido il debito determinando, in sede di ripartizione, la quota a carico di ciascun condomino, ma non costituisce quindi il presupposto dell'esistenza stessa del debito, legata invece, come detto, alla titolarità del diritto reale sul bene. E' agevole altresì osservare che tale prospettazione risponde alla logica di accollare le spese a chi veda effettivamente accresciuto il valore del proprio immobile, circostanza che si verifica evidentemente al momento dell'effettiva esecuzione dei lavori di manutenzione.
Ebbene, i Giudici della Suprema Corte specificano altresì che nel momento in cui il condomino vende il proprio immobile, e rende noto tale trasferimento al condominio, perde il proprio status di condomino, tant'è che non è più legittimato a partecipare direttamente alle assemblee condominiali e può far valere le proprie ragioni in ordine al pagamento dei contributi dovuti (nei limiti di cui al richiamato art. 63 disp. att. c.c., II comma) solo tramite l'acquirente che è subentrato nella posizione di condomino. Ne consegue quindi che se il condomino alienante non è legittimato a partecipare alle assemblee e ad impugnare le delibere condominiali, nei suoi confronti non può essere chiesto ed emesso il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi, atteso che solanto nei confronti di colui che rivesta la qualità di condomino può trovare applicazione l'art. 63 primo comma (così Cass. Civ., Sez. II, sentenza 9 settembre 2008, n. 23345).

12 novembre 2009

PHOTORED: CI VUOLE IL VIGILE ALL'INCROCIO SE NO NIENTE MULTA VALIDA ! LO HA DETTO LA CORTE DI CASSAZIONE !

Per il Coordinamento nazionale per la sicurezza stradale, il passaggio col rosso documentato con il fotored non basta per fare la multa e togliere i punti dalla patente. «La Corte di Cassazione ha sancito che é nulla la multa, per passaggio con il rosso, rilevata attraverso apparecchiature semaforiche, a posto fisso, se al crocevia non é presente un vigile. E’ una sentenza recentissima (Cass. 23084/2009, II Sez. Civ.), depositata il 30 ottobre 2009. La sentenza è stata depositata il 30 ottobre scorso e si riferisce al ricorso presentato contro una decisione del giudice di pace di Rho. «La Corte ha sancito che é nulla la multa, per passaggio con il rosso, rilevata attraverso apparecchiature semaforiche, a posto fisso, se al crocevia non é presente un vigile». Per il Coordinamento «la pronuncia é molto importante, perché fa finalmente piena luce ad un diffuso sistema, a dir poco anomalo, attuato da certe amministrazioni al fine di rimpinguare le casse comunali la Corte ha stabilito che non merita accoglimento la tesi della non necessaria presenza degli organi di polizia, in caso di apparecchiature a posto fisso presso gli impianti semaforici, in relazione all’epoca della contestazione. La Corte ha, invero, affermato che nella fattispecie sia necessaria la presenza del vigile (soltanto un verbalizzante in carne ed ossa, infatti, può rendersi conto quando l’indebita occupazione dell’area semaforica sia dovuta ad ingorghi od a cause indipendenti dalla volontà del presunto contravventore). Non é decisivo, al riguardo, il fatto che l’art. 384 reg. att. CdS ricomprenda nell’ipotesi d’impossibilità della contestazione immediata l’attraversamento dell’incrocio col semaforo rosso perché trattasi di norma regolamentare che non può derogare a quella generale sulla necessità della contestazione immediata, quando possibile, e sulla presenza dei vigili».
A questo punto gli automobilisti sono avvertiti: quanto ricevete una multa per passaggio con il rosso prima di pagare verificate bene e chiedete la prova della presenza in loco del vigile, prova che, a mio parere, deve essere data con copia dell’ordine di servizio del vigile predisposto all’incontro, o con altra prova valida, tenendo presente che il documento eventualmente prodotto dalla Polizia Municipale costituisce atto emesso da pubblico ufficiale e, quindi, contrastabile solo con querela per falso in atto pubblico.

25 settembre 2009

ASSISTENZA LEGALE A TUTTA LA FAMIGLIA A SOLI € 150,00 ANNUI

Lo studio degli avv.ti Gianni Casale e Annalisa Lorenzini dà la possibilità ai propri clienti di ottenere una copertura di tutela legale per tutto il nucleo familiare per quanto riguarda le problematiche della vita familiare e della circolazione stradale a un costo annuo di soli € 150,00.
La possibilità viene veicolata attraverso la sottoscrizione di un polizza assicurativa con una delle più importanti compagnie assicurative di Tutela Legale italiane mentre lo studio assicura la gratuità della prima consulenza (non prevista in polizza) e lo studio della posizione fino al contenzioso; quest’ultimo viene coperto nelle spese e nei casi di polizza dalla compagnia che provvederà a tenere indenne il cliente da ogni sorta di spesa prevista dai casi e dalle condizioni di polizza.
Oltre a ciò la sottoscrizione della polizza garantisce al cliente una ulteriore serie di servizi quali l’accesso telematico alla pratica via web, contatto on-line con il titolare dello studio su piattaforma MSN, riferimento telefonico per casi urgenti 24 ore su 24 ore, notiziario giuridico con newsletter sui casi giuridici attuali più interessanti.
Rimaniamo a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.
Avv. Gianni Casale
Avv. Annalisa Lorenzini

24 settembre 2009

SE MARTIN PER UN PUNTO PERSE LA CAPPA...PER UNA "SCAPPATELLA" NON SI PERDE IL MARITO !

Se lui non può avere figli e non lo dice, il tradimento della moglie è meno grave. E non può essere causa di separazione neppure se i due amanti sono stati sorpresi dal marito di lei nel letto coniugale.
Lo ha stabilito la Cassazione, con sentenza n. 6697/2009, sottolineando che i figli sono “una dimensione fondamentale della persona e una delle finalità del matrimonio”.
Annullata dagli «ermellini» in nome della «lealtà tra coniugi» una sentenza della Corte d’appello di Firenze che aveva giudicato la moglie infedele colpevole della separazione, aggiungendo anche che l’impossibilità per il marito di avere figli non era «sufficiente provata» in quanto avallata soltanto da testimonianze.
Al contrario, scrivevano nella sentenza i giudici di secondo grado, l’episodio del tradimento è più che documentato avendo portato, il marito, in aula come testimone proprio l’uomo che era stato sorpreso in casa con la moglie.
La Cassazione ha evidenziato che l’infedeltà contestata si riduceva a un «incontro occasionale», tanto che neppure il marito aveva «ravvisato nell’episodio una stabile relazione extraconiugale».
In secondo luogo, aggiunge la Cassazione, il marito ha violato l’«obbligo della lealtà» omettendo di informare prima delle nozze la moglie della sua incapacità ad avere figli.
In sostanza, quindi, di fronte ad un comportamento contrario ai doveri del matrimonio da parte di entrambi i coniugi, la condotta dell'uno non può essere giudicata senza un suo raffronto con quella dell'altro, perché solo tale comparazione consente di riscontrare se e quale incidenza le stesse abbiano rivestito, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi coniugale (Cass. civ., Sez. I, 19 marzo 2009, 6697).

25 giugno 2009

ATTENZIONE AUTOMOBILISTI, ORA POTETE RITORNARE ALL’ANTICO IN CASO D’INCIDENTE ! L’INDENNIZZO DIRETTO DIVENTA FACOLTATIVO !.

La Corte Costituzionale con sentenza interpretativa di rigetto n.180/2009 ha dichiarato l’indennizzo diretto come procedura facoltativa dando una bella spallata alla normativa recente contenuta nel Codice delle Assicurazioni che imponeva al danneggiato di rivolgersi alla propria assicurazione qualora fossero presenti determinate caratteristiche del fatto che, però, andavano ad assorbire la maggior parte dei casi e costringendo lo stesso a non potersi avvalere di assistenza legale in quanto non compresa nelle voci di danno risarcibili.
E’ risaputo che la procedura di richiesta diretta alla propria compagnia non prevedendo il pagamento dell’assistenza legale ed il privato era chiaramente a mal partito dovendo colloquiare “disarmato” con la propria compagnia assicurativa.
Ora non più. E’ possibile tornare all’antico e tornare a richiedere i propri danni alla compagnia assicurativa del responsabile civile con buona pace di tutti i danneggiati che non devono lottare da soli per un giusto indennizzo o un equo risarcimento avventurandosi in una giungla di leggi e tabelle risarcitorie sicuramente poco note.
La Corte Costituzionale è ben conscia della portata della propria decisione e non ignora che l’interpretazione costituzionalmente orientata di ammettere l’esperibilità dell’azione ex art. 2054 cc e dell’azione diretta contro l’assicurato del responsabile civile accanto alla nuova azione diretta contro il proprio assicuratore avrà un effetto cataclisma negli uffici legali delle Assicurazioni Italiane; ma non sono problemi che riguardano la Corte stessa, riguarderanno le assicurazioni che non hanno mai visto di buon occhio l’intervento dei legali responsabili, a loro dire, di aumentare i costi dei risarcimenti.
La Corte ha stabilito che dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione, l’azione diretta contro il proprio assicuratore è configurabile come un facoltà, e quindi, un’alternativa all’azione tradizionale per far valere la responsabilità dell’autore del danno.
Sicuramente le Compagnie faranno muro contro questa pronuncia cercando di disincentivarlo in tanti modi, ma sappiate che è un Vs diritto farlo e farVi assistere da un avvocato che dovranno pagare.

Sentenza 180/2009
Giudizio
Presidente AMIRANTE - Redattore FINOCCHIARO
Camera di Consiglio del 22/04/2009 Decisione del 10/06/2009
Deposito del 19/06/2009 Pubblicazione in G. U.

Norme impugnate:
Art. 149 del decreto legislativo 07/09/2005, n. 209.
Massime:
Titoli:
Atti decisi:
ord. 294/2008
SENTENZA N. 180
ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), promosso dal Giudice di pace di Palermo nel procedimento vertente tra Rocca Trasporti s.r.l. e Zurigo Assicurazioni s.a. ed altra con ordinanza del 20 marzo 2008, iscritta al n. 294 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2008.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 aprile 2009 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso del giudizio per risarcimento danni da incidente stradale promosso da Rocca Trasporti s.r.l. nei confronti di Mediterranea s.r.l. e di Zurigo Assicurazioni s.a., nelle rispettive qualità di responsabile civile del danno in quanto proprietaria del veicolo antagonista, e di compagnia che copre i rischi dalla circolazione dello stesso veicolo, il Giudice di pace di Palermo, con ordinanza depositata il 20 marzo 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), per violazione degli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione.
Secondo il giudice a quo, la norma censurata ha previsto un'azione diretta del danneggiato nei confronti del proprio assicuratore, eliminando il diritto, spettante a qualunque danneggiato da fatto illecito, di agire (anche) contro il responsabile del danno e sostituendo alla legittimazione passiva dell'assicuratore per la r.c.a. di quest'ultimo quella dell'assicuratore dello stesso danneggiato.
Il rimettente assume la rilevanza della questione, per il fatto che, avendo la compagnia assicuratrice convenuta eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, alla luce del citato art. 149, per dover essere l'azione proposta nei soli confronti dell'assicuratore del veicolo della stessa attrice, la dichiarazione d'incostituzionalità della norma indurrebbe al rigetto dell'eccezione, mentre in caso contrario l'eccezione dovrebbe essere accolta, con conseguente rigetto della domanda.
Il Giudice di pace di Palermo esclude di poter praticare un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, argomentando che l'espressione letterale della norma stessa, nel senso che “i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato” e che in caso di mancata o insufficiente offerta, “il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione”, configura per il danneggiato l'obbligo senza alternative di agire contro la propria compagnia assicuratrice.
Del resto – argomenta il rimettente – se lo scopo della norma, rivelato anche dai lavori preparatori e dalle dichiarazioni di Governo, è quello di ridurre i costi dei risarcimenti a carico delle compagnie, e così anche dei premi assicurativi, l'interpretazione non può che essere rigorosa, come si ricava anche dall'art. 150 dello stesso Codice, che, nel rimettere alla normazione secondaria procedure e rapporti tra imprese, richiama “i benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto”. Lo stesso d.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, attuativo dell'art. 150, predispone appropriati strumenti per il raggiungimento dello scopo della riduzione dei costi, escludendo che le imprese debbano sostenere spese legali e stabilendo la coincidenza tra soggetto che assiste il danneggiato e soggetto che deve formulare la proposta risarcitoria, sicché il danneggiato è di fatto impossibilitato a rivolgersi ad un professionista, e, non essendo così in grado di valutare l'offerta dell'assicurazione, finirà per accettare risarcimenti inferiori al pregiudizio realmente subito. La stessa legge delega (L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001) ha stabilito, tra i criteri direttivi dell'emanando Codice delle assicurazioni, la tutela dei consumatori e dei contraenti più deboli, cioè degli assicurati, il che potrebbe avvenire solo attraverso un abbassamento dei premi di assicurazione. In conclusione, ammettere un'interpretazione alternativa, che faccia salva la tradizionale azione di danni contro il responsabile civile, vanificherebbe l'obiettivo del legislatore, perché, rimanendo prevedibilmente marginale l'azione diretta, le compagnie dovrebbero continuare a sostenere ingenti costi per l'assistenza tecnica dei danneggiati.
Il rimettente, poi, nell'esporre le ragioni di non manifesta infondatezza della questione, denuncia la violazione dell'art. 76 Cost., perché l'azione diretta del danneggiato nei confronti del proprio assicuratore appare innovazione sostanziale e significativa, che, nel contempo, elimina il diritto, spettante a qualunque danneggiato da fatto illecito, di agire (anche) contro il responsabile del danno e sostituisce, quanto all'azione diretta, alla legittimazione passiva dell'assicuratore per la r.c.a. di quest'ultimo (pur prevista, ove manchino le condizioni di applicabilità dell'art. 149, dall'art. 144 dello stesso Codice delle assicurazioni, e, secondo la disciplina previgente, dall'art. 18 della legge n. 990 del 1969), quella dell'assicuratore dello stesso danneggiato.
Tale innovazione avrebbe dovuto essere oggetto di una delega specifica, che però non si rinviene nella legge n. 229 del 2003, la quale si proponeva semplicemente di realizzare una semplificazione ed un riassetto della legislazione assicurativa, nel rispetto dei principi indicati. Non sembra possibile giustificare le innovazioni apportate alla luce dei criteri guida della codificazione assicurativa, che sono quelli dell'adeguamento alla normativa comunitaria e della tutela del consumatore e del contraente più debole, anche riguardo alla correttezza dei procedimenti di liquidazione dei sinistri: il soggetto dichiaratamente favorito dalla nuova disciplina è il danneggiato, non l'assicurato, sia perché l'assicurazione copre i danni patiti dai terzi e non dal responsabile civile (contraente nel rapporto assicurativo), sia con riferimento al caso del danneggiato conducente di veicolo altrui. Ché anzi, il rischio di aumento del malus che consegue a danno dell'assicurato dall'esborso del proprio assicuratore a favore di chi lamenta il danno, imporrebbe la partecipazione dell'assicurato al procedimento liquidatorio per far valere le proprie ragioni.
Neppure l'obiettivo di ridurre i costi di gestione per ottenere l'abbattimento dei premi assicurativi, può riconoscersi tra i criteri direttivi della legge delega, che indica solo la tutela giuridica dell'assicurato. Inoltre, il decreto attuativo del codice predispone gli strumenti per ridurre i costi di gestione delle imprese assicurative, ma non assicura quelli idonei a consentire che i vantaggi economici della riforma possano esser partecipati con gli assicurati (attraverso la riduzione dei premi), piuttosto che destinati a profitto d'impresa.
Il vizio di eccesso di delega è rilevabile anche sotto il profilo dell'assenza del parere del Consiglio di Stato, dato che le disposizioni recanti la procedura di risarcimento diretto (art. 149) e la relativa disciplina (articolo 150) furono inserite da ultimo nel Codice delle assicurazioni sulla base del parere reso dalle competenti Commissioni parlamentari, ma non erano presenti nello schema di decreto legislativo sul quale il Consiglio di Stato aveva previamente espresso il proprio parere.
La violazione dell'art. 3 Cost. è denunciata dal giudice a quo sotto il profilo della disparità di trattamento tra le ipotesi di diversa entità dei danni. La procedura obbligatoria del risarcimento diretto si applica infatti anche ove la persona del conducente (non, anche parzialmente, responsabile) abbia subito lesioni con postumi permanenti inabilitanti superiori al 9%. La diversità tra le due ipotesi (danni fisici lievi o danni al veicolo e danni alle cose trasportate, da un lato, e danni fisici gravi e perdita di un congiunto, dall'altro) incide ingiustificatamente non solo sulla procedura di liquidazione del danno e sul riferimento soggettivo passivo dell'azione risarcitoria diretta, ma anche sul piano sostanziale, giacché per coloro cui è applicabile la procedura ordinaria di liquidazione il risarcimento è regolato da un atto normativo primario, mentre, per coloro cui si applica la procedura di risarcimento diretto, l'art. 150 del Codice demanda a una fonte normativa secondaria di tipo regolamentare il compito di stabilire – senza, peraltro, al contempo, indicare alcun criterio direttivo – il grado di responsabilità delle parti ed i limiti di risarcibilità dei danni accessori, introducendo, attraverso la delegificazione di detta materia, una diversità di trattamento sostanziale dei diritti dei danneggiati da sinistro stradale. Se anche la procedura di risarcimento diretto fosse ritenuta vantaggiosa per il danneggiato, ne conseguirebbe l'irragionevolezza della esclusione da essa di coloro che, stante la rilevanza dei danni subiti, maggiormente ne beneficerebbero. Ove invece fosse da ritenere svantaggiosa (come in realtà), la compressione del diritto all'integrità fisica e della proprietà privata non appare bilanciata dagli interessi economici delle imprese e degli assicurati, attesa la tutela preferenziale di tali diritti.
La questione relativa alla violazione dell'art. 24 Cost. è sollevata con riguardo alla sostituzione, quale legittimato passivo dell'azione risarcitoria, dell'assicuratore del veicolo utilizzato dal danneggiato al responsabile civile e all'assicuratore di quest'ultimo, dei quali la norma censurata esclude la legittimazione passiva. Peraltro, a ritenere tuttora sussistente, nei casi in cui è applicabile la procedura di risarcimento diretto, la legittimazione passiva del responsabile civile prevista dagli artt. 2043 e 2054 cod. civ., sarebbe frustrata la ratio legis dell'istituto in esame, tenuto conto che il responsabile civile nei cui confronti fosse proposta l'azione risarcitoria potrebbe chiamare in giudizio il proprio assicuratore esercitando la domanda di garanzia, con conseguente duplicazione delle spese processuali sostenute dalle imprese di assicurazione per la gestione dei sinistri, e aumento dei premi assicurativi, in contrasto con l'obiettivo del legislatore delegato.
Anche a ritenere consentita la partecipazione in giudizio del responsabile civile, la lesione del diritto di difesa sussisterebbe ugualmente: la chiamata dell'assicuratore da parte di quest'ultimo (che, ad esempio, rimanga contumace) sarebbe meramente eventuale; il danneggiato non avrebbe interesse ad esperire azione diretta contro di lui; inoltre, essendo il responsabile civile litisconsorte solo facoltativo, la sua confessione non potrebbe esser liberamente valutata dal giudice nei confronti dei litisconsorzi, come nel litisconsorzio necessario.
Ma l'aspetto più eclatante – ad avviso del rimettente – è che la sostituzione del contraddittore naturale (il danneggiante e il suo garante) del danneggiato con un soggetto del tutto estraneo al responsabile del danno, comporta che il danneggiato non può avvalersi degli ordinari mezzi istruttori, quale l'interrogatorio formale, la richiesta di ordine di esibizione della denuncia di sinistro fatta dal responsabile del danno, nonché la richiesta di ordine di esibizione della perizia comparativa effettuata anche sul veicolo assicurato o delle fotografie riproducenti quest'ultimo. Il danneggiato non potrebbe nemmeno avvalersi di uno degli elementi di prova più significativi, recentemente valorizzati dalla riforma del codice di procedura civile (che impone al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda), e particolarmente rilevanti nell'ambito del processo del lavoro, ossia del tenore delle difese espletate nel primo atto difensivo, nonché del rilievo del comportamento processuale e anche preprocessuale delle parti.
Il diritto di difesa del danneggiato appare poi limitato da eventuali obblighi contrattuali intercorrenti con il proprio assicuratore.
Ne risulta minata anche la parità delle armi delle parti nel processo, con violazione dell'art. 111 Cost., sia a causa degli obblighi contrattuali e legali (obbligo di denunciare il sinistro) dell'attore-danneggiato nei confronti del proprio assicuratore-convenuto, sia per la netta differenza di strumenti processuali e mezzi probatori tra le parti (ad es. l'assicuratore del danneggiato si può avvalere, contro il danneggiato, della denuncia di sinistro da lui presentata in adempimento dell'obbligo di legge, e ancora di ogni argomento di prova fondato sul suo comportamento processuale e preprocessuale, nonché, se lo ritiene conveniente, di ogni atto trasmessogli dall'assicuratore del responsabile, senza al contempo che il danneggiato attore possa chiederne utilmente l'esibizione).
2. – Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo l'inammissibilità e l'infondatezza nel merito della questione sollevata.
Secondo la difesa erariale non è adeguatamente valutata e motivata la rilevanza della questione. Il rimettente, al di là di generiche petizioni di principio, non compie alcuna verifica dei presupposti di applicabilità della procedura prevista dal censurato art. 149, e non accerta se sussista la responsabilità dell'altro conducente.
Le questioni sarebbero, nel merito, manifestamente infondate. E' da escludere che vi sia stato stravolgimento del sistema, essendosi nella sostanza costituita in capo all'assicurazione un'obbligazione finalizzata a rafforzare la posizione dell'assicurato, vittima del sinistro. La liquidazione dei danni da parte dell'assicurazione del danneggiato è operata per conto dell'impresa assicuratrice del veicolo responsabile, al fine di rendere più sollecito il risarcimento, nell'interesse del danneggiato. La regolazione dei rapporti tra le imprese avverrà successivamente; l'assicurazione del responsabile civile può intervenire in giudizio con estromissione di quella del danneggiato; è inoltre prevista la rivalsa della prima sulla seconda per quanto pagato in eccedenza.
La norma censurata non si porrebbe al di fuori dei criteri direttivi della legge delega dato che l'espressione “soggetto contraente” comprende anche il soggetto assicurato, legato da un vincolo contrattuale con la compagnia di assicurazione, rispetto alla quale, anzi, emerge la debolezza contrattuale. In sostanza, l'ambito semantico della locuzione impiegata dalla legge delega conferisce ampio margine di discrezionalità al legislatore delegato nel predisporre gli strumenti a favore del contraente più debole.
Il parere del Consiglio di Stato, non vincolante, è concepibile riguardo al corpus normativo nel suo complesso, non già riguardo alla singola disposizione normativa della legge delegata. Esso, inoltre, è richiesto proprio dalla capacità innovativa della codificazione delegata, che comporta, nelle intenzioni del legislatore, non già il semplice riordino normativo, ma il “riassetto” (come recita lo stesso titolo della legge n. 229 del 2003) della regolazione in un determinato settore, quindi con forza innovativa ben più incisiva dei semplici regolamenti di delegificazione. Dalla stessa relazione del Ministero delle attività produttive, risulta che la stesura delle norme modificate mira a migliorare il coordinamento interno con le disposizioni sulle procedure di risarcimento e sul piano formale a realizzare una maggiore chiarezza espositiva.
Riguardo alla violazione dell'art. 3 Cost., non sarebbe ravvisabile alcuna disparità di trattamento, posto che il diritto del trasportato non è sacrificato ma solo disciplinato con la previsione di una modalità di azione in giudizio, da ritenere più rapida e satisfattiva.
Con riferimento, poi, alla pretesa violazione del diritto di difesa, il giudice a quo non avrebbe considerato che non cessano di operare le presunzioni di cui all'art. 2054 cod. civ.: l'attore non risentirebbe alcun pregiudizio dall'atteggiamento processuale della convenuta.
Considerato in diritto
1. – Il Giudice di pace di Palermo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), che introduce a favore del danneggiato in incidente stradale una speciale azione diretta da esperire contro il proprio assicuratore, per violazione degli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione.
La norma impugnata prevede che – in ipotesi di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti – i danneggiati devono rivolgere la propria richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato (comma 1). La stessa disposizione non si applica ai veicoli immatricolati all'estero e limita l'applicabilità del nuovo sistema (comma 2) ai soli danni al veicolo, alle cose trasportate dell'assicurato e del conducente, e al danno alla persona del conducente non responsabile, se contenuto nel limite di cui all'art. 139 dello stesso Codice (postumi pari o inferiori al 9%).
La questione è ammissibile, avendo il rimettente adeguatamente riferito i termini rilevanti nella lite sottoposta al suo giudizio, dai quali discende l'applicabilità dell'art. 149 del Codice delle assicurazioni. Egli espone con chiarezza che la domanda verte sul risarcimento dei danni materiali, e, atteso l'oggetto della domanda, che non riguarda anche i danni alla persona, l'accertamento in ordine all'esclusiva responsabilità dell'altro conducente è irrilevante, giacché tale elemento non è posto dalla norma censurata quale condizione dell'azione da essa regolata.
2. – Nel merito la questione non è fondata.
2.1 – I profili di incostituzionalità evidenziati dal Giudice di pace di Palermo sono riconducibili a due distinti ambiti attinenti, rispettivamente, al vizio di formazione legislativa (art. 76 Cost.) e alla lesione di diritti costituzionalmente protetti (artt. 3, 24, 111 Cost.).
La lettura dell'art. 149 del Codice delle assicurazioni, da parte del Giudice di pace di Palermo, approda all'esclusività della tutela apprestata al danneggiato da sinistro stradale e all'obbligatorietà dell'azione configurata, nei casi previsti dalla stessa norma (sostanzialmente: danni ai veicoli, alle cose trasportate e alla persona del conducente con invalidità fino al 9%). La ricostruzione si basa su aspetti letterali e sistematici.
Sotto il primo profilo, l'espressione “il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione”, non potrebbe che indurre a configurare un obbligo senza alternative, per il danneggiato, di agire contro la propria compagnia assicuratrice: secondo il rimettente l'espressione “potere nei soli confronti” esclude l'esercizio del potere nei confronti di altri.
Si può osservare in proposito che l'oggetto della perifrasi non è tanto il rapporto che, con riguardo alla proposizione di un'azione, il legislatore vuole instaurare a favore di un soggetto, quanto l'azione stessa, che è individuata nei confronti (e nei soli confronti) di un determinato soggetto, che è l'assicuratore del danneggiato.
Così individuato l'oggetto dell'azione, si passa, appunto, a stabilire la norma (anzi la facultas) agendi a favore di un soggetto, il danneggiato appunto, il quale “può” – ma non “deve” – esperire quell'azione.
Sulla base del significato proprio delle parole, secondo la loro connessione (art. 12 disposizioni sulla legge in generale), l'azione diretta contro il proprio assicuratore è configurabile come una facoltà, e quindi un'alternativa all'azione tradizionale per far valere la responsabilità dell'autore del danno.
Secondo l'interpretazione sistematica del giudice rimettente, lo scopo della norma ricavabile dai lavori preparatori sarebbe poi quello di ridurre i costi dei risarcimenti a carico delle compagnie, e così anche dei premi assicurativi. A tal fine l'applicazione del nuovo sistema non potrebbe che essere rigoroso e non ammettere alternative, come si ricaverebbe dall'art. 150 dello stesso Codice. In altre parole, lo scopo della legge verrebbe vanificato ove si pretendesse di duplicare la tutela attraverso la procedura del risarcimento diretto, con la sopravvivenza della tutela tradizionale contro il responsabile civile e l'assicuratore di quest'ultimo. Non vi sarebbe risparmio di costi e, quindi, neppure riduzione dei premi.
L'argomentazione del rimettente, sul piano degli scopi del sistema legislativo, può essere condivisibile, ma non esaurisce la spiegazione delle finalità che si pone la norma. Che il risparmio per le compagnie assicurative possa concorrere a costituire la ratio legis è possibile, anche se il richiamo dell'art. 150 del Codice delle assicurazioni ai “benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto”, quale principio per la cooperazione tra le imprese di assicurazione nell'approntamento della normativa secondaria emanata in attuazione, non equivale ad un suggello della esclusività dell'azione diretta contro l'assicuratore del danneggiato quale condicio sine qua non per l'ottenimento dello scopo di riduzione dei premi. Detto richiamo sembra, piuttosto, agevolare il conducente assicurato nella ricerca dell'interlocutore per il conseguimento della riparazione del danno subito, in fase stragiudiziale e, ove occorra, mediante l'actio iudicii.
Alla base dell'innovazione vi è, invece, l'idea che uno dei principali ostacoli allo sviluppo delle effettive condizioni di concorrenza nel mercato assicurativo è rappresentato dalla particolare natura del rapporto contrattuale che si instaura nella r.c.a.: l'indennizzato non è il cliente dell'assicurazione, ma tipicamente è una terza parte senza vincoli contrattuali con la compagnia di assicurazione tenuta ad effettuare il rimborso.
Creando la legge un rapporto diretto tra impresa e cliente, e stimolando la ricerca da parte di quest'ultimo della “miglior compagnia”, risulta forte l'incentivo per le imprese ad investire nella concorrenza sulla qualità di servizi offerti e nella efficienza nella gestione dei sinistri.
Pertanto, non è l'obbligatorietà del sistema di risarcimento diretto che impone le condizioni di un mercato concorrenziale, bensì la ricerca, da parte delle compagnie, della competitività con l'offerta di migliori servizi, e l'incentivo dei clienti non solo ad accettare quella determinata offerta contrattuale, ma a ricorrere al meccanismo, ove ve ne sia bisogno, del risarcimento diretto, come il più conveniente, ferma restando la possibilità di opzione per l'azione di responsabilità tradizionale, e per l'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile civile.
Un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 149 consentirebbe, accanto all'azione diretta contro la compagnia assicuratrice del veicolo utilizzato, la persistenza della tutela tradizionale nei confronti del responsabile civile, dal momento che il Codice delle assicurazioni si è limitato “a rafforzare la posizione dell'assicurato rimasto danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia assicuratrice, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i suoi diritti secondo i principi della responsabilità civile dell'autore del fatto dannoso” (ordinanza n. 441 del 2008).
Il predetto Codice, nel quadro di un complessivo “riassetto” della materia – il termine è impiegato dal legislatore delegante, che proprio con l'art. 1 della legge n. 229 del 2003 modifica i principi ispiratori della delegazione legislativa di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, al fine di garantire organicità e completezza della materia oggetto del riordino – introduce un meccanismo che, in presenza di certe condizioni, agevola la tutela del danneggiato e, in prospettiva, come lo stesso giudice a quo riconosce, si propone di creare le condizioni per un miglioramento delle prestazioni assicurative. Pur nell'approssimativo coordinamento delle norme del titolo X del Codice, nel loro complesso e nei rapporti con la disciplina vigente, nulla autorizza a ritenere che siano stati stravolti i principi in tema di responsabilità civile, tanto più che le norme poste dal legislatore delegato sono da interpretare nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (sentenze n. 98 del 2008 e nn. 170 e 340 del 2007).
Nella misura in cui l'azione diretta contro l'assicuratore del danneggiato non rappresenta una diminuzione di tutela, ma un ulteriore rimedio a disposizione del danneggiato, non è riconoscibile un vizio nel procedimento di formazione legislativa: il sistema di liquidazione del danno creato nell'esercizio della delega è misurabile nei termini del riassetto normativo delegato.
La non riconoscibilità del denunciato stravolgimento del sistema dà ragione del contributo consultivo offerto alla formazione del d.lgs. n. 209 del 2005 dal Consiglio di Stato (parere n. 11603/05) su uno schema che ancora non comprendeva il rimedio migliorativo descritto, tanto più che un esame puntuale della coerenza delle disposizioni recate dalla nuova normativa sull'azione diretta con i criteri direttivi della legge di delega n. 229 del 2003, è stato comunque compiuto a posteriori, in sede di consultazione sulla normativa secondaria, attuativa dell'art. 150 (pareri n. 5074/05 e n. 746/06).
Il nuovo sistema agevola i danneggiati che hanno contratto l'assicurazione (che non è dubbio rientrino in dette categorie), anche in relazione allo specifico riferimento dell'art. 4 lettera b) della legge delega al “processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio”: se l'ipotesi statisticamente più accreditata, che il danneggiato coincida con il conducente assicurato, costituisce attuazione del principio di tutela del consumatore posto dalla legge delega, l'estensione delle nuove modalità di tutela al conducente non contraente resta elemento neutro, dato che comunque, secondo i principi tradizionali del risarcimento diretto nell'assicurazione obbligatoria (art. 18 della legge n. 990 del 1969), il conducente dovrebbe rivolgersi ad un assicuratore con cui non ha nessun contratto. Ne viene sostanzialmente modificata la modalità di ottenimento della tutela, ma non risultano sovvertiti i criteri posti dalla legge delega. La constatazione riguarda anche l'adeguamento alla disciplina comunitaria (art. 4 lettera a), giacché l'esperibilità dell'azione di responsabilità e di quella diretta contro l'assicuratore del responsabile civile, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, si dimostra rispettosa della direttiva 2005/14/CE: questa obbliga gli Stati membri a provvedere affinché le persone lese da un sinistro, causato da un veicolo assicurato, possano avvalersi di un'azione diretta nei confronti dell'impresa che assicura contro la responsabilità civile la persona responsabile del sinistro. Senza considerare che l'azione diretta è ora esperibile contro il proprio assicuratore, perché questi non fa altro che liquidare il danno per conto dell'assicurazione del danneggiante (art. 149, comma 3, del Codice delle assicurazioni), tanto che la seconda può intervenire nel giudizio intrapreso dal danneggiato contro il primo, ed estrometterlo (comma 6).
La tesi dell'ammissibilità, accanto all'azione diretta, della tradizionale azione di responsabilità civile, toglie, altresì, fondamento alle censure di ordine sostanziale mosse dal rimettente, sotto i profili della lesione del diritto di azione e dei principi del giusto processo, nonché della disparità di trattamento riguardo ad altre categorie di danneggiati.
Il nuovo sistema di risarcimento diretto non consente di ritenere escluse le azioni già previste dall'ordinamento in favore del danneggiato. Del resto, dati i limiti imposti dalla legge delega e la necessità, già sottolineata, di interpretare la normativa delegata nel significato compatibile con principi e criteri direttivi della delega stessa, la scelta del danneggiato di procedere nei soli confronti del responsabile civile trova fondamento nella normativa codicistica, non esplicitamente abrogata. Allo stesso modo in cui fu pacificamente ritenuto che l'introduzione, con l'art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, dell'azione diretta contro l'assicuratore non elideva l'ordinaria azione di responsabilità civile nella circolazione stradale (art. 2054 cod. civ.: v., da ultimo, Cass., sentenza 11 giugno 2008, n. 15462), parimenti, la disciplina confermativa dell'azione diretta (art. 144 Cod. ass.) e l'introduzione di un'ipotesi speciale di essa, quella contro il proprio assicuratore (art. 149), non può aver precluso l'azione di responsabilità civile.
A favore del carattere alternativo, e non esclusivo, dell'azione diretta nei soli confronti del proprio assicuratore, depone, poi, oltre all'interpretazione coerente della delega (dalla quale non sembra emergere la possibilità di uno stravolgimento del sistema), uno dei principi fondamentali della stessa, che è quello (art. 4, comma 1, lettera b) della “tutela dei consumatori e più in generale dei contraenti più deboli avuto riguardo alla correttezza dei messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio”. In presenza di tale formula, appare coerente con le finalità della legge delega un rafforzamento del servizio a tutela dei consumatori e dei contraenti deboli, che si estrinseca attraverso il riconoscimento di una ulteriore modalità di tutela.
Non si ignora che l'interpretazione costituzionalmente orientata, la quale, accanto alla nuova azione diretta contro il proprio assicuratore, ammette l'esperibilità dell'azione ex art. 2054 c.c. e dell'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile civile, apre una serie di problemi applicativi. Tuttavia, la soluzione di detti problemi esula dai limiti del giudizio costituzionale, non potendo che essere demandata agli interpreti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Palermo, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 giugno 2009.
Il Direttore della CancelleriaF.to: DI PAOLA

08 aprile 2009

NON SI DEVONO RESTITUIRE AI SUOCERI I SOLDI RICEVUTI PER L’ACQUISTO DELLA CASA…

Con la separazione dei coniugi gli ex suoceri possono dire addio ai soldi che avevano dato alla figlia per contribuire all'acquisto della casa.
La Cassazione ha stabilito, senza mezzi termini, che gli aiuti in denaro da parte dei genitori in occasione del matrimonio dei figli rientrano "in un contesto di solidarietà familiare che si presume gratuito". Dunque, se poi quell'investimento sul futuro della coppia si rivela "fallimentare", non ne possono pretendere la restituzione.
Così i giudici della terza sezione civile della Suprema Corte, con la sentenza 8386, hanno confermato una decisione della Corte d'appello di Milano che aveva respinto la richiesta dei genitori di lei, dopo la separazione dal marito, di riavere indietro 18 milioni che negli anni '90 avevano rappresentato un contributo all'acquisto della casa coniugale.
Più "salomonico" era stato, nel 2002, il tribunale lombardo che aveva invece accolto in parte la richiesta degli ex suoceri condannando l'ex marito a restituire almeno 7.000 euro.
Dopo la sconfitta in secondo grado i suoceri "generosi" si sono rivolti alla Cassazione ma la Corte ha precisato che "è costume diffuso, nell'attuale società, che i genitori aiutino anche finanziariamente i figli al momento del loro matrimonio, in un contesto di solidarietà familiare che si presume gratuito".
La sentenza della Cassazione tuttavia indica una "via d'uscita", a beneficio di futuri suoceri che volessero evitare il rischio di perdere in un sol colpo denaro e genero: la restituzione sarebbe obbligatoria se ci fosse un documento dal quale risulta che si trattava di un prestito, con tanto di indicazione su tempi e modalità di restituzione.
Insomma, è vero che la solidarietà familiare è importante, ma qualche clausola di salvaguardia non sarebbe vietata." -->