07 ottobre 2010

SENTINEL - COME AUTOMATIZZARE LE OPERAZIONI DI RICERCA DI POLISWEB E SEMPLIFICARE LA VITA AGLI AVVOCATI

Con queste poche righe colgo l'occasione per segnalare ai Colleghi interessati dell'utilizzo che questo studio fa di un programma estremamente utile rintracciato sul mercato dei software in grado di automatizzare tutte le operazioni di ricerca imposte dal programma Polisweb a noi avvocati noto come strumento indispensabile per la consultazione on-line dei fascicoli aperti presso i Tribunali d'Italia nonché per le notifiche in via telematica.
Il programma si chiama Sentinel e mi solleva dalla routinante ricerca dei vari fascicoli presso ogni singolo tribunale in quanto una volta impostato sui tribunali di interesse provvede da solo alla ricerca dei fascicoli del titolare della licenza e li scarica in locale con la possibilità poi di consultarli, apporre note, stampare le informazioni nonché esportare le scadenze e le udienze su outlook (se presente sul personal computer) senza la necessità di ricopiarle e, quindi, esportarle anche su palmari dotati di applicazione adatta fornita dalla casa di produzione del telefono/palmare.
Vengono scaricati ed evidenziati anche i biglietti di cancelleria con apposito segnalatore visivo.
Non ho particolare interesse nel divulgarlo se non permettere a Colleghi di semplificarsi la vita e, per tale motivo, Li invito quantomeno a visionare la presentazione al link: http://www.geronimotm.it/sentineldemo/
Il costo della licenza è irrisorio in confronto ai benefici.
Cordiali Saluti.

Avv. Gianni Casale

01 settembre 2010

SOPRAFFAZIONI E SOPRUSI IN AMBITO FAMILIARE: PER LA CORTE DI CASSAZIONE SOPPORTARE IL CONIUGE VIOLENTO PUO' NON SUPPORTARE IL REATO DI MALTRATTAMENTI

A volte mi rendo conto che è difficile fare questa professione quando ci si imbatte in alcune pronunce della Corte di Cassazione come quella che qui di seguito troverete. Il momento storico e sociale vede sempre di più uomini soprafattori e violenti dentro le mura domestiche con esiti infausti all'ordine di ogni telegiornale o quotidiano che si apra al mattino.
A mio avviso quella della Suprema Corte del 02.07.2010 n.25138 lascia da pensare...il tema sono le vessazioni e le percosse del marito in ambito familiare. Non mi prendo nemmeno il merito del commento a questa sentenza e lascio al Collega che l'ha redatta in rete gli onori di una puntuale valutazione e disamina del problema.

“Le vessazioni e le percosse del marito non consistono in maltrattamenti penalmente rilevanti se la donna ha un carattere forte. Lo ha deciso la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 2 luglio 2010, n. 25138, con la quale si apre la strada ad un orientamento che non mancherà di suscitare aspre critiche, non solo da parte degli operatori del diritto.
Tizio veniva ritenuto penalmente responsabile, dal Tribunale di Sondrio, prima, e dalla Corte d’Appello di Milano, in seguito, in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art. 572 c.p.), per avere maltrattato la moglie Caia con continue ingiurie, offese umilianti, minacce e percosse. La Suprema Corte ribalta il decisum dei giudici territoriali, evidenziando come non si possa parlare di vera e propria “sopraffazione” della moglie, nei confronti del marito violento, nel caso in cui la vittima possieda un carattere forte, e non sia per nulla intimorita dalla condotta dell’uomo.
Come da tempo evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, l'oggetto della tutela apprestata dall'art. 572 c.p. non è solo l'interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia, intesa in senso lato, ma è anche, più specificamente, l'interesse del soggetto passivo al rispetto della sua personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari o sull'autorità o su specifiche ragioni di affidamento che lo legano a una persona in posizione di preminenza ovvero, se si tratta di infraquattordicenne, anche nell'ambito di un semplice rapporto di frequentazione comunque instaurato con l'agente.
Ciò precisato, deve però escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.
Dal punto di vista della struttura, il reato di maltrattamenti in famiglia configura un'ipotesi di reato necessariamente abituale costituito da una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo. Trattasi di fatti singolarmente lesivi dell'integrità fisica o psichica del soggetto passivo, i quali non sempre, singolarmente considerati, configurano ipotesi di reato, ma valutati nel loro complesso devono integrare, per la configurabilità dei maltrattamenti, una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa.
Di conseguenza, nel caso in cui esista una situazione di dissidio coniugale, alla quale sia il marito che la moglie partecipano con reciproche offese e aggressioni fisiche, deve escludersi la configurabilità del reato di maltrattamenti. La condotta di cui all'art. 572 c.p., infatti, per essere integrata richiede l'attribuibilità al suo autore di una posizione di abituale prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace. Se le violenze, le offese e le umiliazioni sono reciproche – anche se di diverso peso e gravità – non può dirsi che c'è un soggetto che maltratta ed uno che è maltrattato.
Il giudice nomofilattico, nella sentenza che qui brevemente si commenta, preso atto degli elementi fondamentali e necessari per la sussistenza della fattispecie di maltrattamenti di cui sopra, è addivenuta ad una soluzione basata esclusivamente sulla personalità della persona offesa dal reato, piuttosto che sulla condotta vessatoria in concreto tenuta dal soggetto agente, affermando l’insussistenza del maltrattamento nel caso in cui il soggetto passivo, in questo caso Caia, possieda un carattere particolarmente forte capace di resistere alle condotte intimidatrici del marito.
In altre parole, non vi può essere sopraffazione se la vittima ha un carattere tale da resistere alle continue e ripetute offese poste in essere dall’altra parte.”


La morale a tutto ciò potrebbe essere: “DONNE, SOPPORTARE A VOLTA NON PAGA...”




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 12 marzo - 2 luglio 2010, n. 25138

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza in data 20 settembre 2005 del Tribunale di Sondrio, appellata da F.S., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena condizionalmente sospesa di mesi otto di reclusione, in quanto responsabile del reato di cui all'art. (Ndr: testo originale non comprensibile) c.p., per avere, con continue ingiurie, minacce e percosse, maltrattato la moglie B.R. (in ****).
Osservava la Corte di appello che la responsabilità dell'imputato doveva ritenersi provata sulla base delle sia pure parziali ammissioni dell'imputato nonchè di testimonianze di medici o conoscenti e di certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale della B., poste in essere dal F..
Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore avv. Claudio Rea, il quale denuncia, con un unico motivo, il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento dell'abitualità della condotta di sopraffazione, evidenziando che uno degli episodi denunciati (un finto auto-accoltellamento) e dato atto della circostanza che la B., per ammissione della stessa di carattere forte, non fosse intimorita dalla condotta del marito; con ciò scambiando per sopraffazione esercitata dall'imputato un clima di tensione fra i coniugi, nell'ambito del quale i vari episodi andavano collocati e interpretati conformemente, del resto, alle dichiarazioni di vari testimoni (in particolare, Dott. C.e.D. B.).
Il ricorso appare fondato.
Come è ampiamente noto, perchè sussista il reato di maltrattamenti in famiglia occorre che sia accertata una condotta (consistente in aggressioni fisiche e vessazioni o manifestazioni di disprezzo) abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa, che, a causa di ciò, versa in una condizione di sofferenza.
Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto provati "uno stato di tensione" tra i coniugi e uno "stato di sofferenza" della B., ritenuti significativi di una condotta abituale e sopraffazione da parte del F..
Tale affermazione, tuttavia, non poggia su elementi idonei a rappresentare un'abitualità della condotta vessatoria dell'imputato.
I fatti incriminati sono solo genericamente richiamati nella sentenza impugnata, e, stando al tenore della imputazione, appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell'arco di circa tre anni, per i quali è intervenuto remissione della querela, che non rendono di per sè integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione richiesta per l'integrazione della fattispecie in esame; tanto più che, come puntualizzato dalla Corte di appello, la condizione psicologica della B., per nulla "intimorita" dal comportamento del marito, era solo quella di una persona "scossa...esasperata...molto carica emotivamente".
Anche sul piano soggettivo, non risulta offerta dai giudici di merito alcuna indicazione che deponga per la sussistenza, in capo all'imputato, di una volontà sopraffattrice idonea ad abbracciare le diverse azioni e a ricollegare ad unità i vari (limitati episodi di aggressione alla sfera morale e fisica del soggetto passivo.
Stanti tali evidenti carenze probatorie, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

17 agosto 2010

CONIUGE AFFIDATARIO ED IMPEGNI DI LAVORO: LIMITARE LE VISITE DEL FIGLIO ALL'ALTRO GENITORE NON E' SEMPRE VISTA COME UNA SCUSA DALLA CASSAZIONE...

L'argomento è uno di quelli di estrema attualità nei contrasti post-separazione e frutto di lamentele da parte del coniuge non affidatario.
E' noto che la nuova normativa ha portato la regola all'affido condiviso ed alla bigenitorialità al fine di promuovere e sollecitare rapporti sereni dei figli con entrambi i genitori dopo la separazione anche se rimane ancora “in piedi” l'affido esclusivo, in casi eccezionali valutati dal Giudice, e l'affido condiviso con assegnazione “privilegiata” del figlio o dei figli alla residenza di uno dei genitori.
Il padre è nella maggior parte dei casi, il genitore non affidatario, e si trova nella posizione di colui che dovrebbe denunciare l’ex moglie per l’elusione dell’obbligo di garantire il diritto di visita, ai sensi dell’art. 388 c.p..
Il codice penale italiano (art. 388, comma 2, c.p.) prevede che si applichi la pena della reclusione fino a tre anni o della multa da 103 a 1032 euro “a chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci ”. Il reato, nonostante non preveda una sanzione pesantissima, è tuttavia procedibile d’ufficio; non occorre quindi necessariamente la proposizione di una querela, anche se concretamente spesso l’iniziativa penalistica prende le mosse da un’attività positiva del coniuge non affidatario, che si presume leso nei propri diritti.
La Cassazione ha a più riprese affermato che la condotta elusiva del genitore affidatario (sanzionata dal codice penale) può consistere anche semplicemente in un non facere; in pratica, ciò che viene generalmente richiesto al coniuge affidatario perché ottemperi al provvedimento del giudice e rispetti il diritto di visita altrui, non è una semplice passiva disponibilità, ma piuttosto una fattiva e leale collaborazione, nell’interesse ovviamente del figlio minore che ha il diritto di crescere anche con la figura del genitore non affidatario.
La sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI pen., 16 giugno 2010, n. 23274, ha ispirato questo approfondimento, confermando un orientamento prevalente della giurisprudenza delle SS.UU. (Cass., sez. un. 27 settembre 2007, n. 36692) che in materia di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 388 c.p., comma 2, concernente l’elusione di un provvedimento del giudice relativo all’affidamento di minori, ha così osservato. “ …..il concetto di elusione non può equipararsi puramente e semplicemente a quello di inadempimento, occorrendo, affinché possa concretarsi il reato, che il genitore affidatario si sottragga con atti fraudolenti o simulati, all’adempimento del suo obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole, appunto, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede o non riconducibile a una mera inosservanza dell’obbligo”.
Nel caso in esame la madre affidataria della figlia minore, era stata condanna, sia in primo che in secondo grado; per il reato di cui all’art. 388 c.p., comma 2, poiché aveva impedito all’ex coniuge di incontrare la bambina due volte alla settimana presso il consultorio familiare.
La donna è ricorsa in Cassazione deducendo di avere ridotto le visite per impegni di lavoro, e proponendo di incontrare la bambina un pomeriggio alla settimana presso la propria abitazione, al fine di consentire incontri maggiormente sereni, sostenendo altresì, che la norma penale dell’art. 388 c.p., comma 2, non era applicabile nella specie perché essa richiede “l’elusione dell’obbligo di garantire il diritto di visita del genitore non affidatario, implicante un comportamento fraudolento o simulato”, nella specie assolutamente insussistente. La Cassazione accogliendo le motivazioni del ricorso, ha annullato e rinviato ad altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio.



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 4 maggio - 16 giugno 2010, n. 23274

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma di quella del Tribunale di Taranto in data 22 gennaio 2007, appellata da G.R., ha revocato la provvisionale concessa alla parte civile M. G., e ha confermato la sentenza impugnata in punto di responsabilità della medesima, condannata alla pena di 100 Euro di multa per il reato di cui all'art. 388 c.p., comma 2, nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile, per avere eluso il decreto del Tribunale per i minorenni di Taranto del 29 marzo 2001 relativo all'affidamento della minore M.D., impedendo al padre di incontrare la bambina due volte alla settimana presso il consultorio familiare.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata la quale deduce di avere ridotto le visite a una sola volta alla settimana per i suoi impegni di lavoro. Sottolinea che aveva proposto al M. di incontrare la bambina un pomeriggio alla settimana presso la propria abitazione, dal martedì al giovedì, anche al fine di consentire incontri maggiormente sereni. Sostiene comunque che la norma penale dell'art. 388 c.p., comma 2, non era applicabile nella specie perchè essa richiede l'elusione dell'obbligo di garantire il diritto di visita del genitore non affidatario, elusione implicante un comportamento fraudolento o simulato, nella specie assolutamente insussistente (cita cass., sez. un. 27 settembre 2007, n. 36692).
Il ricorso è fondato. Con la sentenza indicata dal ricorrente le Sezioni unite di questa Corte hanno deciso, confermando un orientamento prevalente della giurisprudenza delle sezioni semplici, che in materia di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 388 c.p., comma 2, concernente l'elusione di un provvedimento del giudice relativo all'affidamento di minori, il concetto di elusione non può equipararsi puramente e semplicemente a quello di inadempimento, occorrendo, affinchè possa concretarsi il reato, che il genitore affidatario si sottragga con atti fraudolenti o simulati, all'adempimento del suo obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole, appunto, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede e non riconducibile a una mera inosservanza dell'obbligo. Su tale elemento caratterizzante il reato la Corte d'appello non ha fornito alcuna motivazione. Con specifico riferimento alla giustificazione addotta dall'imputata che, secondo quanto si legge in sentenza, aveva addotto l'impossibilità di condurre il minore presso il consultorio familiare due volte alla settimana, si sarebbe dovuta accertare ogni circostanza del caso concreto al fine di verificare, almeno, il fondamento, di tale spiegazione, e non limitarsi a equiparare l'inadempimento alla elusione. La sentenza va quindi annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce.

13 agosto 2010

GLI ASSEGNI COME FORMA DI GARANZIA PER PRESTAZIONI FUTURE DI TERZI NON HANNO VALIDITA': INTERESSANTE SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MODENA.

Nell'ambito di questo periodo di congiuntura e di crisi può accadere che a fronte di lavori o di opera da parte di ditte artigiane o società ci si veda chiedere preventivamente la consegna a garanzia di quanto richiesto sotto forma di assegni riportanti unicamente la cifra, intestazione e la sottoscrizione. Ebbene questa sorta di escamotage da parte di colui che si appresta ad eseguire i lavori va contro la vera funzione dell'assegno che rappresento un mezzo di pagamento e non un mezzo di garanzia.
In tal senso una interessante e puntuale del Tribunale di Modena (dott. Farolfi) del 06.06.2009 n. 1339 pubblicata in data 21.09.2009, evidenzia questo aspetto.
Se interessa ricevere copia chiederla a mezzo richiesta email all'indirizzo: casale.gianni@tiscali.it con la dicitura: "Richiesta copia sentenza Tribunale di Modena n.1339 del 06.06.2009)



ATTENZIONE ! CURIOSARE NEL CELLULARE DEL CONIUGE POTREBBE ESSERE LECITO...

In materia di privacy tra coniugi il GIP del Tribunale di Milano, con decisione del 18.09.2009, si è espresso favorevolmente in merito alla possibilità di marito e moglie di “sbirciare” nei reciproci cellulari. La motivazione della decisione è sicuramente “coraggiosa” in un quadro normativo e sociale dove la legge sulla privacy viene “esibita e sbandierata” ad ogni piè sospinto; tuttavia non si può negare che nelle motivazioni messe in campo dal Giudicante devono essere meritevoli di considerazione ed apprezzamento.
In sostanza lo stesso si è espresso su un caso in cui la moglie, fortemente insospettita dall'infedeltà del marito, si era impossessata del cellulare del marito che era stato lasciato incustodito su un mobile e che non era protetto da alcuna password di accesso alla scheda telefonica. Il marito aveva fatto denuncia ed il Pubblico Ministero che aveva chiesto l'archiviazione. Il legale del marito, successivamente, aveva fatto opposizione ma dopo discussione davanti al GID di Milano, questi decideva per confermare l'archiviazione.
Il quadro decisorio è quello di un rapporto di coniugio caratterizzato da frequenti episodi di aggressività da parte dell'opponente tanto da giustificare l'adozione della misura cautelare dell'allontanamento dall'abitazione familiare, disposta con ordinanza del GIP di Milano. In un clima di crescente conflittualità la moglie (indagata) si impossessava del cellulare del marito avendo la certezza del tradimento dello stesso.
Dunque la donna era stata spinta dal legittimo sospetto che il marito potesse avere una relazione extraconiugale, sospetto più che giustificato dato il comportamento anafettivo, offensivo e violento che il marito le aveva da tempo riservato.
Posto che nel rapporto di coniugio l'obbligo di fedeltà costituisce oggetto di una norma di condotta imperativa, il sospetto fondato su situazioni oggettive ed univoche costituisce un motivo ideneo, sotto il profilo etico e giuridico, a giustificare l'apprensione da parte di un coniuge dell'apparecchio cellulare del patner onde conferire certezza al sospetto così nutrito.
La condotta incriminata appare, pertanto, priva di disvalore penale avendo la moglie agito in presenza di una causa che può ritenersi giusta avuto riguardo al vincolo di coniugio all'epoca esistente tra le parti, al contenuto degli obblighi che da tale vincolo derivano ad all'intensificarsi degli episodi di cui alla violenza di cui il marito è stato autore.
Sotto il profilo dei fatti all'epoca il cellulare non era nascosto e ne aveva un codice di accesso particolare. In tali condizioni il cellulare si presentava suscettibile di un indiscriminato utilizzo da parte di ciascun membro della famiglia con conseguente possibilità d'accesso ai dati ivi contenuti da parte dell'effettivo momentaneo utilizzatore.
In tal modo il cellulare era suscettibile di utilizzo da parte di qualunque dei membri della famiglia con accesso momentaneo ai relativi dati in esso contenuti, ed in situazione tale da non poter ritenere esistente l'effettiva assenza di consenso da parte del proprietario del cellulare.
Il GIP sostiene che non possa escludersi che la cognizione dei messaggi registrati in memoria possa essere avvenuta in seguito ad una occasionale contatto con l'apparecchio cellulare che varrebbe ad escludere l'elemento soggettivo della fattispecie delittuosa.
Va detto innanzitutto che si tratta della decisione frutto di una interpretazione di un singolo giudice che non fa stato nel nostro ordinamento e che si basa su situazioni fattuali specifiche e che non possono essere generalizzate e banalizzate; rimane, tuttavia, una pronuncia interessante meritevole di attenzione.

09 agosto 2010

SOCIAL NETWORK E REATI CONTRO LE DONNE: ATTENTI AL LUPO ...

Una volta il Lupo era nelle favole ed al massimo importunava Capuccetto Rosso, ora tanti Lupi si nascondono dietro una tastiera.
Nell'ambito della commissione di reati verso le donne l'utilizzo dei social network è uno degli strumenti che la tecnologia ed internet mettono a disposizione di uomini ansiosi di incontrare, di intrattenere rapporti con donne che, altrimenti, ritengono di non riuscire ad approcciare.
L'uso di questo mezzo dà opportunità incredibili e semplifica il lavoro del Lupo.
Innanzitutto lo strumento di ampia diffusione permette una “caccia estesa” e con la possibilità di restringere o allargare la ricerca a seconda dei desideri e del territorio ed il tutto con esagerata tranquillità nel proprio ambito domestico dove il Lupo è più a proprio agio e dove si ritiene al sicuro. Non va trascurato il fatto che in tale contesto il Lupo non si espone direttamente, almeno inizialmente, e può manipolare la propria identità a piacimento o rimanendo totalmente anonimo o assumendo le finte sembianze di persone di fantasia che, al più avrebbe desiderio di incarnare realmente, per sentirsi inadeguato verso il sociale e, in particolare, verso la figura femminile. Le alternative che sceglie pongono inevitabilmente delle scelte di “tattica” diverse: nel primo caso il Lupo deve necessariamente essere in possesso di abilità persuasive eccellenti dal momento che si priva dell'aspetto fisico per attrarre la preda; in questo caso di solito il Lupo è persona dall'elevato quoziente intellettivo, con una notevole cultura e conoscente dei meccanismi di persuasione e di “vendita”. Uso il termine “vendita” dal momento che in sostanza ogni volta che ci rapportiamo con una persona e cerchiamo coinvolgerla nel nostro personale attuiamo una vera e propria vendita dove noi rappresentiamo il prodotto finale: se la vendita riesce noi veniamo “comprati” ed il rapporto con l'altra persona si instaura.
Qualora il Lupo decida di “impersonare” un soggetto diverso da sé utilizzando foto di altre persone si assiste ad un esperienza per il Lupo estremamente difficile dal momento che lo stesso deve creare una vita parallela che nel tempo potrebbe avere la necessità di reggere e giustificare nel proseguo della caccia. Come si dice “le bugie hanno le gambe corte ed il mentitore deve avere buona memoria” e spesso il Lupo, se non ben “allenato”, può incorrere in passi falsi e cd. sgamato, dalle potenziali prede. Solitamente il Lupo che utilizza queste modalità non va oltre un approccio telematico della preda accontentandosi di essere considerato da una donna che nella vita non immaginerebbe mai di avvicinare e da cui ricevere la benchè minima attenzione, oltre al fatto che spingersi ad un incontro reale potrebbe creare problemi irrisolvibili direttamente proporzionali con il falso quadro dato di sé. Appare intuibile le difficoltà di un operaio alto un metro e cinquanta che si spaccia per un modello di un metro e novanta che gira in Ferrari; in questo caso se anche la Ferrari si può noleggiare i centimetri no...
Ad ogni modo al Lupo non sempre interessa reggere un confronto intellettuale dal momento che nel Lupo aggressivo quello che interessa è stabilire il contatto lasciando poi al caso quello che succederà dopo. E' questo l'aspetto più pericoloso perchè al cacciatore quello che interessa è inquadrare la preda, portarla allo scoperto usando qualsiasi mezzo che spesso è una curiosità dettata da un particolare momento di fragilità di vita della preda che la spinge a voler ampliare gli orizzonti o voler provare l'ebrezza dell'incognito e del rischio.
Dall'esperienza professionale di donne molestate che hanno chiesto assistenza è emerso l'aspetto della presenza di questi social network anche se in prima battuta si sono sempre ben guardate di confessarne la frequentazione quasi in una sorta di pudore.
I motivi del loro avvicinarsi a questa pratica è spesso dovuta alla noia che ha invaso il loro rapporto affettivo, la scarsa considerazione del partner o la semplice curiosità spinta dalla magnificenza esposta da amiche adite alla chat. Il risultato è stato spesso devastante dal momento che per alcune si è giunte alla rottura del rapporto per una incapacità di arrestarsi allo stadio della “curiosità” coinvolgendo il Lupo nella propria vita privata con effetti infausti, per altre, invece, il coinvolgimento del Lupo è stato a prescindere dalla loro volontà dal momento che può accadere che il cacciatore si “intestardisca” sulla propria preda non accettando un chiaro o velato rifiuto ed iniziando una vero e proprio comportamento molestante accompagnato dalla fine del rapporto affettivo se la preda si è “dimenticata” di informare il proprio partner del proprio l'amore per le chat quando lo stesso era al lavoro o lontano da casa.
Nella favola c'era un Lupo e un Capuccetto Rosso, nella vita reale i Lupi sono tanti ed hanno aspetti e tratti psicologici diversi e meritano molto più tempo di una fiaba, cosa che faremo al prossimo incontro...

12 luglio 2010

VIOLAZIONE IN BICICLETTA O SU MEZZO CHE NON NECESSITA DI ABILITAZIONE ALLA GUIDA NON METTE IN PERICOLO LA PATENTE

La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta su una vicenda estremamente interessante che riguarda l'aspetta della circolazione e della patente degli automobilisti. Ha ritenuto, infatti che, è’ illegittima la sospensione della patente di guida per chi commette illeciti in violazione alle norme sulla circolazione stradale conducendo veicoli per la cui guida non sia richiesta alcuna abilitazione (Corte di Cassazione penale, Sezione IV, nella sentenza 25 maggio 2010, n. 19646).
In concreto il caso aveva visto coinvolto un conducente di un ciclomotore Piaggio Ape, a cui era stata applicata, su accordo delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p., la pena di mesi tre di arresto e un’ammenda per i reati di guida in stato di ebbrezza alcolica e di rifiuto di sottoporsi all'accertamento del tasso alcolemico. Inoltre, come sanzione amministrativa accessoria, gli veniva disposta la sospensione della patente guida per anni uno.
La sospensione veniva ritenuta illegittima e l'interessato propose ricorso alla Corte di Cassazione la quale richiamando altra conforme giurisprudenza (Cass. SS.UU. 30 gennaio 2002 n. 12316; Cass. 21 settembre 2005, n. 45669; Cass. 18 settembre 2006, n. 36580) ha accolto il ricorso. Il principio accolto dalla Suprema Corte prevede che “non può essere applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, conseguente per legge a illeciti posti in essere con violazione delle norme sulla circolazione stradale, a colui che li abbia commessi conducendo veicoli per la cui guida non sia richiesta alcuna abilitazione”.
In pratica, in tale caso non sussiste alcun collegamento diretto tra il mezzo con il quale il reato è stato commesso e l'abuso dell'autorizzazione amministrativa, in conseguenza del quale va applicata la sanzione accessoria (Cass. Sez. IV, 17 marzo 1999, n. 867).
Diversamente nell’ipotesi in cui il conducente del mezzo non risulta titolare del documento di abilitazione alla guida, la sospensione della patente non può essere comunque disposta, ma per l’ineseguibilità della sanzione (sospensione patente) per mancanza dell'oggetto (patente).

24 aprile 2010

FIGLIO ADULTO CHE PRENDE SOLDI DALLA MAMMA: E' REATO DI ESTORSIONE!

Il figlio adulto che pretende somme di denaro dai genitori, ricorrendo a comportamenti violenti, è punibile per tentata estorsione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 14914 del 19 aprile 2010, decidendo sul ricorso di un giovane di Napoli, accusato di maltrattamenti e lesioni in danno della madre. Il ragazzo era stato condannato dalla Corte di Appello di Napoli, dopo che entrambi i genitori avevano confermato le violenze, consumate in seguito al loro rifiuto di consegnargli i soldi richiesti.
Il figlio si è difeso sottolineando la legittimità della sua pretesa. Infatti, aveva sostenuto, all’epoca era privo di lavoro, e quindi i genitori, in virtù dello stretto legame di parentela, avrebbero dovuto assecondare la sua richiesta.
I giudici della Sesta Sezione Penale della Suprema Corte hanno però ritenuto inammissibile tale tesi difensiva, affermando che “il figlio che richiede ai genitori somme di denaro ricorrendo a modalità violente, commette il reato di tentata estorsione, e non la minore fattispecie criminosa disciplinata dall’articolo 393 c.p., ciò non essendo in contrasto con il principio in base al quale l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, non cessa, ‘ipso facto’, con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica”. Disposizioni che, spiega il Collegio di piazza Cavour, non valgono però per il ricorrente, dal momento che non ha dimostrato che le somme, estorte in modo violento, fossero utilizzate per il suo mantenimento.

24 marzo 2010

GUIDARE UBRIACHI COSTA IL SEQUESTRO DELL'AUTO IN LEASING

L'auto condotta in stato di ebbrezza può essere sequestrata – in vista della confisca – anche se è in leasing, e quindi non appartiene al guidatore. La quarta sezione penale della Cassazione (sentenza 10688/2010, depositata il 18 marzo 2010) allarga il perimetro della confisca come sanzione ulteriormente afflittiva per chi è sorpreso ubriaco al volante, confermando lo spossessamento di una Audi Q7 fermata a un controllo stradale il 10 giugno scorso a Fermo.
I giudici di merito non avevano avuto dubbi nel disporre e poi mantenere il sequestro preventivo: alla decisione del Gip si era associato qualche settimana dopo lo stesso Tribunale del Riesame, che aveva respinto la tesi difensiva secondo cui il veicolo era intestato a terzi (la società di leasing, appunto), e che il periculum in mora (cioè il rischio di nuove violazioni all'articolo 186 del Codice della strada) sarebbe stato neutralizzato dalla sospensione della patente del guidatore.
La Cassazione, nei motivi sintetici per respingere l'ulteriore impugnazione, ha sottolineato che il bene detenuto in forza del contratto di leasing «appartiene al soggetto al quale è stata attribuita la materiale disponibilità del bene stesso; e anche se non è «proprietà», questo stato le somiglia molto perché è di fatto un «diritto a godere del bene, sulla base di un titolo che esclude i terzi».
Pertanto, «appare evidente la legittimità del sequestro di un veicolo il cui conducente sorpreso alla guida in stato di ebbrezza (...) ne abbia la disponibilità in forza di un contratto di leasing». Lo stesso periculum in mora di reiterazione può essere garantito solo dal sequestro, atteso che la sospensione della patente è un provvedimento, per sua natura, temporaneo. Quanto ai diritti della società di leasing, l'auto deve essere dissequestrata solo di fronte alla dimostrazione della cessazione del contratto di locazione finanziaria.

La sentenza del 18 marzo quindi conferma una linea di rigore nell'applicare la confisca del veicolo, introdotta dal pacchetto sicurezza del 2008 (Dl 92/08) per i casi più gravi di ebbrezza (articolo 186 del Codice della strada) e per la guida sotto l'effetto di stupefacenti (articolo 187). La confisca crea una serie di problemi visto che, per principio generale, non può scattare quando la circolazione del veicolo avviene contro la volontà del proprietario o quando questi è comunque estraneo all'infrazione, che accade quando il mezzo è intestato a soggetto diverso dal conducente. È il caso non solo di leasing e noleggio, ma anche della cointestazione. Sotto questo profilo, si sono lette sentenze molto garantiste, come quella che un anno fa a Bologna escluse la confiscabilità solo perché il trasgressore era in comunione di beni con la moglie (in questo caso, la comproprietà esiste per legge). Ma la Cassazione pare aver ormai adottato una linea ben più restrittiva.
Lo si è visto a partire dalla sentenza 45938 del 1° dicembre 2009: secondo la quarta sezione penale, per non far scattare la confisca occorre che il veicolo sia integralmente intestato a un terzo estraneo, perché la cointestazione lascerebbe presumere che il trasgressore utilizzi il mezzo non solo occasionalmente, e quindi se ne conservasse la disponibilità potrebbe utilizzarlo ancora in modo da costituire pericolo.