01 settembre 2010

SOPRAFFAZIONI E SOPRUSI IN AMBITO FAMILIARE: PER LA CORTE DI CASSAZIONE SOPPORTARE IL CONIUGE VIOLENTO PUO' NON SUPPORTARE IL REATO DI MALTRATTAMENTI

A volte mi rendo conto che è difficile fare questa professione quando ci si imbatte in alcune pronunce della Corte di Cassazione come quella che qui di seguito troverete. Il momento storico e sociale vede sempre di più uomini soprafattori e violenti dentro le mura domestiche con esiti infausti all'ordine di ogni telegiornale o quotidiano che si apra al mattino.
A mio avviso quella della Suprema Corte del 02.07.2010 n.25138 lascia da pensare...il tema sono le vessazioni e le percosse del marito in ambito familiare. Non mi prendo nemmeno il merito del commento a questa sentenza e lascio al Collega che l'ha redatta in rete gli onori di una puntuale valutazione e disamina del problema.

“Le vessazioni e le percosse del marito non consistono in maltrattamenti penalmente rilevanti se la donna ha un carattere forte. Lo ha deciso la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 2 luglio 2010, n. 25138, con la quale si apre la strada ad un orientamento che non mancherà di suscitare aspre critiche, non solo da parte degli operatori del diritto.
Tizio veniva ritenuto penalmente responsabile, dal Tribunale di Sondrio, prima, e dalla Corte d’Appello di Milano, in seguito, in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art. 572 c.p.), per avere maltrattato la moglie Caia con continue ingiurie, offese umilianti, minacce e percosse. La Suprema Corte ribalta il decisum dei giudici territoriali, evidenziando come non si possa parlare di vera e propria “sopraffazione” della moglie, nei confronti del marito violento, nel caso in cui la vittima possieda un carattere forte, e non sia per nulla intimorita dalla condotta dell’uomo.
Come da tempo evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, l'oggetto della tutela apprestata dall'art. 572 c.p. non è solo l'interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia, intesa in senso lato, ma è anche, più specificamente, l'interesse del soggetto passivo al rispetto della sua personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari o sull'autorità o su specifiche ragioni di affidamento che lo legano a una persona in posizione di preminenza ovvero, se si tratta di infraquattordicenne, anche nell'ambito di un semplice rapporto di frequentazione comunque instaurato con l'agente.
Ciò precisato, deve però escludersi che la compromissione del bene protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia, essendo necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.
Dal punto di vista della struttura, il reato di maltrattamenti in famiglia configura un'ipotesi di reato necessariamente abituale costituito da una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo. Trattasi di fatti singolarmente lesivi dell'integrità fisica o psichica del soggetto passivo, i quali non sempre, singolarmente considerati, configurano ipotesi di reato, ma valutati nel loro complesso devono integrare, per la configurabilità dei maltrattamenti, una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa.
Di conseguenza, nel caso in cui esista una situazione di dissidio coniugale, alla quale sia il marito che la moglie partecipano con reciproche offese e aggressioni fisiche, deve escludersi la configurabilità del reato di maltrattamenti. La condotta di cui all'art. 572 c.p., infatti, per essere integrata richiede l'attribuibilità al suo autore di una posizione di abituale prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace. Se le violenze, le offese e le umiliazioni sono reciproche – anche se di diverso peso e gravità – non può dirsi che c'è un soggetto che maltratta ed uno che è maltrattato.
Il giudice nomofilattico, nella sentenza che qui brevemente si commenta, preso atto degli elementi fondamentali e necessari per la sussistenza della fattispecie di maltrattamenti di cui sopra, è addivenuta ad una soluzione basata esclusivamente sulla personalità della persona offesa dal reato, piuttosto che sulla condotta vessatoria in concreto tenuta dal soggetto agente, affermando l’insussistenza del maltrattamento nel caso in cui il soggetto passivo, in questo caso Caia, possieda un carattere particolarmente forte capace di resistere alle condotte intimidatrici del marito.
In altre parole, non vi può essere sopraffazione se la vittima ha un carattere tale da resistere alle continue e ripetute offese poste in essere dall’altra parte.”


La morale a tutto ciò potrebbe essere: “DONNE, SOPPORTARE A VOLTA NON PAGA...”




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 12 marzo - 2 luglio 2010, n. 25138

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza in data 20 settembre 2005 del Tribunale di Sondrio, appellata da F.S., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena condizionalmente sospesa di mesi otto di reclusione, in quanto responsabile del reato di cui all'art. (Ndr: testo originale non comprensibile) c.p., per avere, con continue ingiurie, minacce e percosse, maltrattato la moglie B.R. (in ****).
Osservava la Corte di appello che la responsabilità dell'imputato doveva ritenersi provata sulla base delle sia pure parziali ammissioni dell'imputato nonchè di testimonianze di medici o conoscenti e di certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale della B., poste in essere dal F..
Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore avv. Claudio Rea, il quale denuncia, con un unico motivo, il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento dell'abitualità della condotta di sopraffazione, evidenziando che uno degli episodi denunciati (un finto auto-accoltellamento) e dato atto della circostanza che la B., per ammissione della stessa di carattere forte, non fosse intimorita dalla condotta del marito; con ciò scambiando per sopraffazione esercitata dall'imputato un clima di tensione fra i coniugi, nell'ambito del quale i vari episodi andavano collocati e interpretati conformemente, del resto, alle dichiarazioni di vari testimoni (in particolare, Dott. C.e.D. B.).
Il ricorso appare fondato.
Come è ampiamente noto, perchè sussista il reato di maltrattamenti in famiglia occorre che sia accertata una condotta (consistente in aggressioni fisiche e vessazioni o manifestazioni di disprezzo) abitualmente lesiva della integrità fisica e del patrimonio morale della persona offesa, che, a causa di ciò, versa in una condizione di sofferenza.
Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto provati "uno stato di tensione" tra i coniugi e uno "stato di sofferenza" della B., ritenuti significativi di una condotta abituale e sopraffazione da parte del F..
Tale affermazione, tuttavia, non poggia su elementi idonei a rappresentare un'abitualità della condotta vessatoria dell'imputato.
I fatti incriminati sono solo genericamente richiamati nella sentenza impugnata, e, stando al tenore della imputazione, appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell'arco di circa tre anni, per i quali è intervenuto remissione della querela, che non rendono di per sè integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione richiesta per l'integrazione della fattispecie in esame; tanto più che, come puntualizzato dalla Corte di appello, la condizione psicologica della B., per nulla "intimorita" dal comportamento del marito, era solo quella di una persona "scossa...esasperata...molto carica emotivamente".
Anche sul piano soggettivo, non risulta offerta dai giudici di merito alcuna indicazione che deponga per la sussistenza, in capo all'imputato, di una volontà sopraffattrice idonea ad abbracciare le diverse azioni e a ricollegare ad unità i vari (limitati episodi di aggressione alla sfera morale e fisica del soggetto passivo.
Stanti tali evidenti carenze probatorie, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.