13 agosto 2010

ATTENZIONE ! CURIOSARE NEL CELLULARE DEL CONIUGE POTREBBE ESSERE LECITO...

In materia di privacy tra coniugi il GIP del Tribunale di Milano, con decisione del 18.09.2009, si è espresso favorevolmente in merito alla possibilità di marito e moglie di “sbirciare” nei reciproci cellulari. La motivazione della decisione è sicuramente “coraggiosa” in un quadro normativo e sociale dove la legge sulla privacy viene “esibita e sbandierata” ad ogni piè sospinto; tuttavia non si può negare che nelle motivazioni messe in campo dal Giudicante devono essere meritevoli di considerazione ed apprezzamento.
In sostanza lo stesso si è espresso su un caso in cui la moglie, fortemente insospettita dall'infedeltà del marito, si era impossessata del cellulare del marito che era stato lasciato incustodito su un mobile e che non era protetto da alcuna password di accesso alla scheda telefonica. Il marito aveva fatto denuncia ed il Pubblico Ministero che aveva chiesto l'archiviazione. Il legale del marito, successivamente, aveva fatto opposizione ma dopo discussione davanti al GID di Milano, questi decideva per confermare l'archiviazione.
Il quadro decisorio è quello di un rapporto di coniugio caratterizzato da frequenti episodi di aggressività da parte dell'opponente tanto da giustificare l'adozione della misura cautelare dell'allontanamento dall'abitazione familiare, disposta con ordinanza del GIP di Milano. In un clima di crescente conflittualità la moglie (indagata) si impossessava del cellulare del marito avendo la certezza del tradimento dello stesso.
Dunque la donna era stata spinta dal legittimo sospetto che il marito potesse avere una relazione extraconiugale, sospetto più che giustificato dato il comportamento anafettivo, offensivo e violento che il marito le aveva da tempo riservato.
Posto che nel rapporto di coniugio l'obbligo di fedeltà costituisce oggetto di una norma di condotta imperativa, il sospetto fondato su situazioni oggettive ed univoche costituisce un motivo ideneo, sotto il profilo etico e giuridico, a giustificare l'apprensione da parte di un coniuge dell'apparecchio cellulare del patner onde conferire certezza al sospetto così nutrito.
La condotta incriminata appare, pertanto, priva di disvalore penale avendo la moglie agito in presenza di una causa che può ritenersi giusta avuto riguardo al vincolo di coniugio all'epoca esistente tra le parti, al contenuto degli obblighi che da tale vincolo derivano ad all'intensificarsi degli episodi di cui alla violenza di cui il marito è stato autore.
Sotto il profilo dei fatti all'epoca il cellulare non era nascosto e ne aveva un codice di accesso particolare. In tali condizioni il cellulare si presentava suscettibile di un indiscriminato utilizzo da parte di ciascun membro della famiglia con conseguente possibilità d'accesso ai dati ivi contenuti da parte dell'effettivo momentaneo utilizzatore.
In tal modo il cellulare era suscettibile di utilizzo da parte di qualunque dei membri della famiglia con accesso momentaneo ai relativi dati in esso contenuti, ed in situazione tale da non poter ritenere esistente l'effettiva assenza di consenso da parte del proprietario del cellulare.
Il GIP sostiene che non possa escludersi che la cognizione dei messaggi registrati in memoria possa essere avvenuta in seguito ad una occasionale contatto con l'apparecchio cellulare che varrebbe ad escludere l'elemento soggettivo della fattispecie delittuosa.
Va detto innanzitutto che si tratta della decisione frutto di una interpretazione di un singolo giudice che non fa stato nel nostro ordinamento e che si basa su situazioni fattuali specifiche e che non possono essere generalizzate e banalizzate; rimane, tuttavia, una pronuncia interessante meritevole di attenzione.

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